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venerdì 19 settembre 2014
N. Toyoda, Fukushima. L'Anno Zero, ed. Jaca Book, 2014
Risparmio, progresso, sicurezza: pochissimi anni fa, quando impazzava in Italia la “voglia di nucleare”, erano queste le tre parole d’ordine di ogni dibattito alla TV, alla radio, sulla stampa. Poi, Fukushima. È l’11 marzo 2011. Da lì in poi hai voglia a parlare di errore umano, di estrema fatalità, ormai nessuno ci crede più: ormai è chiaro a tutti (anzi, è evidente) che la “sicurezza nucleare” è un ossimoro, una contraddizione in termini, un “mito” (come l’espressione è stata poi battezzata all’indomani del disastro). Perché una verità spicca su tutto il resto: che sul nucleare nulla è certo, tranne ciò che già sappiamo. E quel che sappiamo è che da una tragedia nucleare non c’è scampo: nessuna decontaminazione, nessuno stanziamento, nessuna operazione di recupero potrà mai riportare la vita lì dove c’è stata la morte atomica.

sabato 27 aprile 2013
Prevedere l'imprevedibile/3
Riassunto delle puntate precedenti: le centrali nucleari di tutto il mondo continuano a produrre incidenti su incidenti, che i fautori del nucleare minimizzano da un lato, mentre dall’altro continuano a insistere sul fatto che le vecchie tecnologie vanno abbandonate in favore del nucleare “sicuro”, quello di ultima generazione, talmente sicuro da essere in grado di “prevedere perfino l’imprevedibile” (per dirlo con le parole del Presidente dell’associazione “ecologista” FareAmbiente, Vincenzo Pepe, la cui intervista è leggibile qui).
Ci piacerebbe tanto chiedere a costoro: queste tecnologie sarebbero sicure anche nel caso di impatto con asteroidi? No, lo chiediamo semplicemente perché di quando in quando gli asteroidi cadono sulla Terra, e ogni tanto qualcuno si fa male - com’è successo nel caso della pioggia di meteoriti in Russia, lo scorso febbraio, con oltre 1.000 feriti. Eppure ciò che preoccupa non è tanto il danno subito, quanto quello che avrebbe potuto scatenarsi: la pioggia di meteoriti è caduta a 90 chilonetri da Mayak, la “Los Alamos degli Urali”, che oltre ad essere uno dei territori radioattivamente più contaminati del mondo (a causa dei tantissimi incidenti nucleari di cui è stata teatro, tra cui il tristemente celebre disastro di Kyshtym, secondo per intensità solo a Chernobyl e a Fukushima), ospita a tutt’oggi numerosi impianti funzionanti per il trattamento del plutonio. Per parecchi giorni la Russia ha tremato, e con essa tutto il mondo. Fortunatamente l’abbiamo scampata, ma il punto è che queste eventualità ormai non sono più materia per romanzi di fantascienza. È successo, e potrebbe succedere di nuovo, anche prestissimo. Esperti del settore ammettono che non siamo in grado di prevedere le traiettorie e gli effetti neanche dell’1% degli asteroidi in circolazione intorno a noi. Si può pensare che a Mayak ci siano solo impianti degli anni ’60, ma la domanda rimane: esistono davvero impianti nucleari tanto moderni da essere completamente sicuri rispetto a simili catastrofi?

(«Il Caffè», 26 aprile 2013)

sabato 15 dicembre 2012
Caserta, India
Ad ottobre il primo ministro australiano, Julia Gillard, si reca in India per una visita di tre giorni ad annunciare che il suo governo ha cambiato posizione riguardo alla vendita di uranio (l’Australia possiede da sola il 40% di tutto l’uranio estratto al mondo) all’India: da oggi in poi via libera all’esportazione, nonostante New Delhi non sia firmataria del Trattato di non proliferazione. Che vuoi che sia un po’ d’inchiostro su un pezzo di carta: qui si sta parlando di soldi.

sabato 24 settembre 2011
Che pena che fa
Mo mi deve fare pure pena. Dopo tutto questo tempo. Dopo il coro di voci discordi che gli si è avventato contro, e lui neanche una piega. Oggi (3 settembre 2011) scrive una lettera polemica al governo e (finalmente) dà le dimissioni: Umberto Veronesi non è più Presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. A sua parziale discolpa, diciamola tutta: a tutt’oggi il decreto di nomina non è stato ancora formalizzato. Niente sede, niente personale, nessuna dotazione. Di che farsi saltare la mosca al naso. Del resto, dopo il referendum dello scorso giugno, all’Agenzia (peraltro in corso di soppressione ad opera della recente manovra finanziaria) non rimaneva che la dismissione delle vecchie centrali e il deposito in sicurezza delle scorie. «Non voglio certo occuparmi solo di scorie» taglia corto il professore prima di togliersi di mezzo. Brutto inizio, peggior finale.

domenica 8 maggio 2011
L'industria più pericolosa del mondo. Intervista a Massimo Scalia
Massimo Scalia, politico italiano e docente presso l'Università “La Sapienza” di Roma, è uno dei padri dell'ambientalismo scientifico in Italia. Fondatore della Lega per l'Ambiente, ora Legambiente, è stato tra i primi parlamentari delle Liste Verdi eletti negli anni ottanta e primo presidente della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il suo nome è legato alle battaglie contro il nucleare e a favore delle energie rinnovabili. Dopo l'esperienza nei Verdi, è oggi tra i fondatori e i dirigenti nazionali degli Ecologisti Democratici e del Movimento Ecologista.
A volte sentiamo dire che “non possiamo fare a meno del nucleare”. È vero?
Questa è una falsità colossale. Basta guardare i numeri per rendersene conto. Col nucleare si possono fare solo 2 cose: le bombe, oppure l’energia elettrica. L’energia elettrica è soltanto una piccola parte dell’energia complessiva utilizzata dall’uomo: al mondo è soltanto il 17% dell’energia totale. Di questa piccola parte, la quota prodotta tramite il nucleare è a sua volta del 14%. Conclusione: il nucleare fornisce

Il nucleare è una cambiale. Intervista a Giuseppe Onufrio
Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia, ha cominciato la sua attività ambientalista a 19 anni organizzando una campagna contro il nucleare. Fisico, ricercatore, ha lavorato per diversi enti italiani e stranieri sui temi della valutazione ambientale dei cicli tecnologici e delle politiche energetiche per la riduzione dei gas a effetto serra. Già consigliere d’amministrazione dell’Agenzia per l’ambiente (all’epoca ANPA) è stato per cinque anni direttore scientifico dell’Istituto sviluppo sostenibile Italia (ISSI).
Siete da sempre contrari al nucleare. Perché?
Perché nessuno dei problemi aperti dalla tecnologia nucleare ha finora trovato soluzione. Non esistono impianti “intrinsecamente sicuri”, non esiste una soluzione di lungo termine alla gestione dei rifiuti nucleari, non esiste

mercoledì 6 aprile 2011
Vivere in Bielorussia, storie di ordinaria contaminazione. Intervista a Silvia Pochettino
Da Periferia a Periferia - 4
Conoscere e comprendere i tanti luoghi del nostro mondo che provano ad affrancarsi e a risollevarsi dalle mille problematiche, non significa per noi condividere il mal comune. Piuttosto vogliamo fare nostre le sensibilità, il coraggio, l’intelligenza, l’onestà di chi r-esiste in tale disagio. Perché in fondo, noi come loro, sappiamo che la periferia è solo un luogo dell’anima.
Silvia Pochettino, giornalista, dirige da oltre dieci anni la rivista di cooperazione internazionale “Volontari per lo sviluppo” e collabora stabilmente con diverse testate nazionali. Nel 2002 ha ricevuto il Premio nazionale Giornalisti per il sociale. Il suo ultimo libro è Bugie nucleari (ed. Carlo Spera, 2009). L’abbiamo intervistata a proposito della sua esperienza nelle zone della Bielorussia più colpite dal disastro di Chernobyl, nelle quali si è recata in più di un’occasione sulla scia degli studi dei professori Vassili Nesterenko (responsabile dell’Istituto per l’Energia Atomica della Bielorussia) e Yuri Bandazhevsky (direttore del programma di ricerca medica a Gomel). Per chiederle com’è oggi, a 25 anni dal disastro, la vita a Minsk e a Gomel, nel sud della Bielorussia, periferia dell’ex impero russo.
La sua prima impressione una volta giunta lì: un paesaggio lunare o un posto come un altro?
Il posto è molto bello, la Bielorussia ha delle foreste spettacolari ed è un Paese verdeggiante. Non si deve pensare che

mercoledì 2 febbraio 2011
Il naso lungo di Chernobyl. Intervista a Massimo Bonfatti
L’incidente di Chernobyl è un caso chiuso del passato, o un monito alla nostra generazione infervorata dal “rilancio nucleare”? Quanta verità conosciamo della vicenda di Chernobyl, e quanta invece continua a venircene nascosta dal sodalizio tra governi, imprese multimiliardarie e organismi internazionali? Ne abbiamo parlato con Massimo Bonfatti, giornalista esperto di tematiche dell’Europa centrorientale, autore del recente libro dal titolo Il naso lungo di Chernobyl (Carlo Spera, 2010).
Perché Chernobyl secondo Lei è il “paradigma delle menzogne nucleari”?
Chernobyl non è solo il paradigma delle menzogne nucleari, ma è il paradigma di tutto il nucleare. L’incidente di Chernobyl, estrapolandolo dal suo contesto e caso specifico, è stato ed è un insegnamento che non possiamo ignorare. Purtroppo questo insegnamento viene vissuto in maniera paradossale. Per alcuni (e fra questi l’AIEA, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) l’esplosione del 1986 rappresenta, addirittura e indirettamente,

venerdì 5 novembre 2010
Italia a lume di candela
Italia a lume di candela (ed. L’asino d’oro, 2010) è un agile e “illuminante” libro di Marzio Bellacci, collaboratore di diverse testate nazionali e curatore del blog “Energia: un bla bla all’italiana” (http://www.marziobellacci.com/).
Ben documentato, mai sovrattono e imparziale quanto basta, spiega l’attuale situazione energetica italiana tracciandone un itinerario storico che va da

martedì 21 settembre 2010
Nucleare: il lodo Tremonti
“Con il nucleare l’Italia avrebbe un PIL più alto”: parola del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Sì, lo so, il nucleare è pericoloso, provoca tumori e leucemie a pioggia, costa incalcolabilmente più di ogni altra forma di energia, è pericolosamente esposto a una deriva antidemocratica, alla mina vagante delle scorie ed è in definitiva fuori controllo. Ma potrebbe dare lavoro, sviluppo e ricchezza al Paese, e quindi... Avrebbe potuto aggiungere anche questo il ministro, ma era - come dire - implicito. In certo modo ridondante. Superfluo.
Perché con la ragione del calcolo economico c’è poco da discutere. A un livello appena un po’ più basso, è un dispositivo mentale che già conosciamo. Con il ricatto del licenziamento, della chiusura, della recessione, l’imprenditoria si sente autorizzata a qualsiasi cosa: ogni evasione fiscale, ogni abuso del contratto, ogni violazione delle regole ambientali o di sicurezza viene giustificata con le esigenze della competitività. I cinesi abbassano i prezzi perché hanno meno welfare? Riduciamo il nostro stato sociale e si vada a competere.
A un livello più alto si possono giustificare - con la stessa logica - attività irrazionali, pericolose o addirittura criminose: in fondo la malavita organizzata crea occupazione. Non è sarcasmo, ripeto: è la stessa logica. Tanto che, per camuffare questa affinità, si cerca di dare una parvenza di opportunità e legittimità perfino al nucleare. Nonostante tutto.
Chissà, forse in altri Paesi del mondo, quelli ad esempio tristemente noti per il cosiddetto “turismo sessuale”, c’è qualcuno - magari al governo - che sostiene trattarsi di una risorsa economica per il Paese, qualcosa che - nonostante tutto - crea occupazione, sviluppo... PIL.
Le stanno provando tutte, con dossier semestrali a cura dell’Enel, spacciati perfino nei giornali cattolici come se avessero ricevuto l’imprimatur, con annunci televisivi. Scienziati e “volti amici” ci hanno annunciato le meraviglie dell’atomo (salvo poi ripensarci), ma la gente non ha cambiato idea: gli italiani il nucleare non lo vogliono. Allora sono passati ad altro: visto che la sostanza non la potevano modificare (e la sostanza è che il nucleare è una cambiale), ora provano a cambiare la forma, cercando di dare agli impianti un aspetto più piacevole alla vista. Che una nuova estetica possa giovare alle malformazioni fetali? Chi vivrà, vedrà (purtroppo è il caso di dirlo).
Oggi il ministro Tremonti cerca di persuaderci con la storia strappalacrime degli operai a spasso (che hanno tutta la nostra comprensione e il cui problema va senz’altro considerato prioritario per l’Italia). Signor ministro, abbia la saggezza di non abbandonarsi a soluzioni facili ma a doppio taglio: se proprio non Le viene in mente nient’altro, proponga ai disoccupati di costruire muri per poi abbatterli, ciclicamente. Il PIL crescerà, anche se potrà sembrarLe un esercizio stupido (e lo è - oltre che indignitoso; ma almeno non provoca il cancro). Certo, tutto ciò avrà un costo, che la società dovrà accollarsi. Ma meglio pagarlo noi, questo costo, anziché le nostre generazioni future. Il costo del nucleare è eterno.
(«AgoraVox», 20 settembre 2010)

mercoledì 15 settembre 2010
Nucleare: non ci stanno dicendo tutto (il nucleare è una cambiale)
A Mosca esistono vere e proprie “discariche nucleari”: burroni in cui - negli anni ‘50 - le scorie radioattive venivano allegramente sversate. Oggi l’aspettativa di vita di un moscovita è di 5 anni inferiore alla media della Russia.
L’indagine di Evgeniya Chaykovskasya («The Moscow News») rivela che
i livelli di radiazione per le strade di Mosca hanno raggiunto un livello così alto che le autorità sono in procinto di spendere 4,7 miliardi di rubli per abbatterle. Più o meno 153 milioni dollari destinati al clean-up copriranno il periodo 2011-2013, dopo le notizie di non meno di 18 oggetti radioattivi pericolosi all'interno della capitale.C'è ancora qualcuno, al giorno d'oggi, che ha il coraggio di sostenere che il nucleare sia più economico di altre forme di energia. Mentre la verità - dopo innumerevoli esempi credo sia giunta l'ora di prenderne coscienza - è che il nucleare crea l'illusione del risparmio perché differisce i costi (che è il trucco più vecchio del mondo). Prima o poi il conto arriva, eccome. E con gli interessi. Il nucleare è una cambiale.
C’è del materiale radioattivo nei dintorni di, sotto, forse perfino dentro Mosca. Ma nessuno sa bene quanto, né quale, né dove. Ora la situazione è diventata insostenibile e le autorità intendono rimuovere i rifiuti: ma nessun sa bene da dove cominciare. Si parla di un carico che va dai 60.000 agli 800.000 metri cubi di scorie. Negli ultimi 10 anni a Mosca sono state trovate e bonificate 503 discariche contenenti rifiuti nucleari. Quante ce ne siano ancora da scoprire, si può solo ipotizzarlo.
Potrebbe già essere la notizia del giorno. Ma in realtà la cosa peggiore è un’altra; ecco il commento alla situazione del responsabile energia di Greenpeace Russia, Vladimir Chuprov:
è un bene che le autorità stiano eliminando i pericoli di radiazioni, ma questo lavoro non è molto trasparente. A Mosca, per esempio, la mappa delle discariche radioattive non è stata fatta tutta e in più non è stata pubblicata. La gente semplicemente non sa se è vicina ai rifiuti nucleari e quale sia il livello di radiazioni in superficie. Ci dicono "tutto ok", ma non ci danno i dettagli, e così vengono i dubbi.Stando così le cose, purtroppo non ci viene un dubbio, ma una certezza: ancora una volta le autorità stanno nascondendo la verità su una questione che riguarda il nucleare. Perché? Perché - se il nucleare è tanto sicuro, pulito, affidabile - i cittadini non possono conoscere il reale stato dei fatti? La risposta è fin troppo semplice: il nucleare è una tecnologia fuori controllo. Ammettere il disastro significherebbe ammettere al contempo che non si sa come uscirne. Il nucleare oggi consente di risparmiare sulla bolletta? Può darsi. Ma dovrà essere un risparmio molto, molto, molto grande. Abbastanza da ripagare i 5 anni che molti moscoviti non vivranno.
(«AgoraVox», 15 settembre 2010)

sabato 11 settembre 2010
Nucleare: il diritto (opzionale) ad essere informati
Riportiamo una imbarazzante notizia rivelata lo scorso 8 settembre dal giornale «The Voice of Russia»:
In Egitto - 6 mesi fa - si è verificato un incidente a un reattore nucleare sperimentale. Secondo i resoconti ufficiali, il reattore si è guastato ad aprile, ma non ci sono state perdite radioattive e il problema è stato subito arginato.Così è il nucleare. Una tecnologia pericolosa anziché no, ma soprattutto un ambito nel quale l’informazione ai cittadini è sempre subordinata alla politica. Sei mesi di ritardo per avvertire il mondo che c’è stato un incidente senza perdite radioattive. E se fosse stato più grave? Forse non lo sapremmo ancora.
In Francia i livelli di Trizio nell’acqua potabile superano i livelli di guardia, ma le autorità competenti minimizzano e si decidono a informare solo quando costrette da organizzazioni indipendenti. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è a conoscenza di dati sanitari che non possono essere comunicati al mondo perché vietato dall’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che ha il potere di veto - incredibile, nell’era dell’informazione e su una materia tanto delicata quanto il nucleare - sui dati da pubblicare).
Se quello di informare i cittadini è un obiettivo secondario di uno Stato, ci domandiamo: quale obiettivo persegue veramente un governo che si imbarchi in una impresa nucleare? Soprattutto quando lo fa contro una volontà popolare platealmente diversa? Se veramente il nucleare è tanto sicuro, pulito e conveniente, come mai assistiamo solo a reticenze, problemi irrisolti, falsità, misconoscimento della verità?
Non ci si può fidare di una politica che (in tutto il mondo, senza eccezioni) subordina l’informazione dei cittadini alla “ragion di Stato” nucleare. Chiunque voglia fare il nucleare in Italia, oggi, non lo faccia nel mio nome.
(«AgoraVox», 11 settembre 2010)

venerdì 10 settembre 2010
Nucleare senza futuro. Intervista a Leonardo Mazzei
Leonardo Mazzei fa parte del Campo Antimperialista e scrive sull’omonimo sito. In passato ha militato in Democrazia Proletaria, dalla sua fondazione (1978) al 1989. Nel 1991 ha aderito a Rifondazione Comunista, di cui è stato membro della Direzione nazionale, fino al 1997 quando è uscito dal partito in dissenso con la linea di appoggio al governo Prodi.
Cosa è successo nel 2007 nella centrale nucleare giapponese di Kashiwazaki? Potrebbe accadere anche a una centrale in Italia?
In questa centrale atomica - la più grande del mondo (8.000 Mw di potenza installata) - a seguito di una scossa sismica, peraltro di intensità assai inferiore rispetto a quella considerata nei calcoli di progetto, si sono verificati ben 13 guasti "inattesi". In particolare ci sono state perdite radioattive e diversi incendi, che portarono alla chiusura della centrale. Questo caso è importante perché, pur trattandosi di un evento decisamente meno drammatico di Chernobyl o di Three Mile Island, ha smentito tutte le previsioni sulla sicurezza in una centrale modernissima, in un paese all’avanguardia tecnologica e famoso per la prevenzione antisismica. Per quanto riguarda l’Italia è difficile immaginare una situazione simile, tuttavia l’alta percentuale di territorio sismico riduce drasticamente le aree in cui individuare i siti atomici.
È vero che in tutto il mondo esistono già depositi di scorie cosiddetti “secolari” (come quello di Asse in Germania, recentemente evacuato a causa di una infiltrazione d’acqua)?
Dei depositi di scorie si sa veramente poco. Quel che è certo è che i cosiddetti "depositi geologici definitivi" restano una chimera. Quello che i cittadini spesso non conoscono è il costo esorbitante dello smaltimento. Basti pensare al caso dell’Italia, dove il costo delle scorie prodotte dalle centrali chiuse è stimato in circa 4 miliardi di euro. Due di questi miliardi sono stati spesi nel periodo 1987 - 2001. Ma per finanziare l’attività della Sogin, la società incaricata della gestione delle scorie, i cittadini continueranno a pagare a lungo, sulle bollette elettriche, questi costi del nucleare di cui spesso ci si dimentica quando si parla dei presunti "risparmi" dell’energia atomica.
Qual è il contributo attuale del nucleare alla copertura del fabbisogno energetico globale? Il nucleare può davvero risolvere i problemi energetici del pianeta, come sostengono molti fisici autorevoli, come Margherita Hack e Antonino Zichichi?
Il contributo del nucleare è modesto e, cosa più importante, ha ormai raggiunto il proprio picco produttivo. Il nucleare copre attualmente solo il 6% dei consumi energetici totali ed appare destinato a non andare oltre tale percentuale. L’età media degli oltre 400 reattori in esercizio nel mondo è di 25 anni, e per sostituirli in base ai tempi previsti dalle attuali licenze dovrebbe entrare in funzione nei prossimi anni un nuovo reattore ogni 45 giorni. Un obiettivo palesemente impossibile da raggiungere, che sta spingendo gli Stati ad elevare la durata delle licenze, aumentando così i rischi per la sicurezza legati alla vetustà dei reattori. In questo quadro la stessa previsione della IEA (International Energy Agency) di un modesto incremento della quota coperta dal nucleare nel 2030 (6,9%), appare del tutto irrealistica. Peraltro non va mai dimenticata la scarsità delle riserve di uranio "ragionevolmente assicurate", che l’AIEA considera sufficienti (a consumi invariati) solo per i prossimi 35 anni. Il nucleare - al di là dei gravissimi problemi di sicurezza ed inquinamento - non è dunque in grado di risolvere i problemi energetici del pianeta, e prevedibilmente lo sarà ancora di meno nel futuro.
Il nucleare può abbassare il costo dell’energia elettrica, permettendo ai cittadini un “risparmio in bolletta”?
Assolutamente no. Restando al caso italiano, oltre ai costi per lo smaltimento delle scorie, gli utenti continuano a pagare in bolletta i 10 miliardi di euro gettati dall’Enel nell’avventura del reattore Superphénix, il reattore autofertilizzante che prometteva meraviglie, che non ha mai immesso in rete un solo Kilowattora e che sta arrugginendo dalle parti di Creys-Malville, in Francia. Ma il punto vero è il costo degli impianti, che sta aumentando a dismisura. Il costo della centrale di Olkiluoto, in Finlandia (identica a quelle che si vorrebbero costruire in Italia) è passato da 3,0 a 5,3 miliardi di euro. Stessa revisione dei prezzi è avvenuta, nel silenzio della stampa nazionale, per l’altra centrale "gemella" in costruzione a Flamanville in Francia, impianto di cui l’Enel detiene una quota del 12,5%. La verità è che per avere un qualche risparmio in bolletta occorrerebbe una nuclearizzazione spinta del sistema elettrico del tipo di quella realizzata in Francia. Un obiettivo palesemente impraticabile. In Italia semplicemente folle per le caratteristiche del territorio, ma che nessun paese al mondo oggi persegue. Il tempo dell’"illusione" nucleare è finito. Questo lo sanno tutti, solo che il partito degli affari è forte, e la certezza di poter spillare denaro pubblico non è una tentazione da poco per i signori dell’energia.
Oggi siamo indipendenti dal punto di vista energetico, o siamo costretti a importare energia dall’estero?
Dobbiamo distinguere tra consumi energetici totali e consumi di energia elettrica. Per quanto riguarda i primi l’Italia è dipendente come tutti i maggiori paesi industrializzati, ed è una situazione non facilmente modificabile, tantomeno con il nucleare che come abbiamo già visto può garantire un apporto veramente limitato. Rispetto invece ai consumi elettrici, la risposta è diversa: l’Italia ha una potenza installata più che sufficiente a far fronte al proprio fabbisogno, oltre 100.000 Mw a fronte di una punta massima di 55.000. L’Italia importa energia elettrica, prevalentemente dalla Francia, nelle ore notturne (quando dunque il fabbisogno è meno della metà rispetto alla punta), solo perché la Francia, proprio a causa della rigidità delle centrali nucleari è costretta a vendere sottocosto. La scelta di importare circa 45 miliardi di Kilowattora (il 13% dei consumi nazionali) è dovuta soltanto a questo costo vantaggioso, non certo ad un deficit del sistema produttivo del nostro Paese, deficit che non esiste affatto.
Può il nucleare sostituire i combustibili fossili?
No, per le ragioni già dette. Costi, problemi di sicurezza e di gestione, aspetti ambientali, l’irrisolta questione delle scorie: tutti questi aspetti ci dicono che non può essere il nucleare la risposta alla necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Si aggiunga la scarsità della materia prima e si comprenderà fino in fondo l’assurdità di insistere sull’energia atomica.
Qual è il futuro dell’energia, soprattutto in Italia?
Restando al settore elettrico, oggi possiamo dire con ragionevole certezza che il futuro è nelle energie rinnovabili, per un periodo da mixare necessariamente con il gas naturale. Non che le rinnovabili siano immuni da costi ambientali, da valutare sempre caso per caso, ma questi costi sono comunque incomparabili con quelli del nucleare e delle fonti fossili. Venendo all’Italia, i dati del 2009 ci consegnano questo quadro: - centrali termiche 67,1% dei consumi totali - idroelettrico 15,8% - geotermico 1,6% - eolico 1,9% - solare 0,2% - importazioni 13,3% Il 67,1% del termoelettrico va così suddiviso al proprio interno: - gas naturale 65,1% - carbone 17,6% - petrolio 7,1% - altri combustibili (tra i quali le discusse "biomasse") 10,2% Alla luce di questi dati, e volendo essere sintetici, possiamo dire che la linea più saggia da seguire appare quella di spingere con forza sulle rinnovabili. Le basse percentuali di eolico e solare non devono ingannare, dato che l’impiego di queste fonti è solo all’inizio ed i costi si stanno riducendo vistosamente. Solo nel settore del solare fotovoltaico, quello di gran lunga più promettente, stiamo assistendo quest’anno ad un boom eccezionale, ancora difficile da quantificare, vista la miriade di mini-impianti in costruzione. Al tempo stesso, al fine di ridurre l’inquinamento atmosferico e di gas serra, sarebbe necessario rinunciare al carbone riconvertendo gli impianti a gas naturale, che appare la fonte tradizionale preferibile nella transizione verso le rinnovabili.

giovedì 9 settembre 2010
Nucleare, ci vuole del coraggio. Intervista a Giuseppe Miserotti
Giuseppe Miserotti è Presidente dell’Ordine dei Medici di Piacenza e referente provinciale dell’ISDE-Italia (Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente).
Esistono studi che mostrino la correlazione tra la vicinanza ad impianti nucleari e l’incidenza di tumori e leucemie?
Sì; ce ne sono diversi; uno dei più significativi per completezza di dati epidemiologici, per autorevolezza e terzietà in quanto promosso e finanziato dal Governo tedesco, è il KIKK study pubblicato nel 2008. In esso si evidenzia come, dalla valutazione fatta dal 1980 al 2003, intorno alle 15 centrali nucleari esistenti sul territorio tedesco, emerga un aumento delle leucemie nei bambini residenti fino a 5 km di distanza dalle centrali, del 220% rispetto alla popolazione normale, e un aumento del 160% dei tumori embriogenetici. Per quanto riguarda tali gravi patologie, il loro sviluppo in età così precoce, è da riferirsi alla irradiazione alle cosiddette “piccole dosi” cui inevitabilmente sono state sottoposte le madri in gravidanza. Anche negli USA il prof. Mangano e la collega Sherman avevano prodotto studi che evidenziavano come, nelle contee all’interno delle quali erano collocate le centrali nucleari, vi fosse un aumento dei tumori e delle leucemie che non trovava analoghi riscontri nelle popolazioni di controllo. I dati cui si riferirono i due autori statunitensi si riferiscono a dati facenti estratti da cosiddetti CDC (Center of Disease Control), istituti di rilevazione molto apprezzati negli USA e nel mondo scientifico in generale per la loro serietà.A Sessa Aurunca, nella zona della ex centrale del Garigliano, si registra una incidenza di tumori e leucemia 6 volte superiore alla media italiana.
Anche questa rilevazione conferma come vi sia una diretta e causale connessione tra cosiddette “piccole dosi” di radionuclidi e aumento delle patologie tumorali. Il midollo osseo, poi, risulta essere particolarmente sensibile alle radiazioni. Il danno infatti si estrinseca sulle cellule staminali più che sulle cellule somatiche dell’individuo. Del resto questa è una delle ipotesi patogenetiche più accreditate anche nel KIKK study tedesco.Da un punto di vista meramente economico: se anche il nucleare fosse più economico di altre forme di energia, il risparmio compenserebbe i maggiori costi legati all’aumento dei tumori?
Da medico che quotidianamente è a contatto con la sofferenza e con i drammi umani e famigliari che i tumori comportano, la risposta è d’obbligo: non può esistere valutazione economica che possa giustificare tanta sofferenza. Tuttavia non c’è dubbio che uno dei costi maggiori per il SSN sia proprio da riferirsi alle costosissime cure per le malattie tumorali.Poiché «la radioattività di origine umana è il più sicuro dei cancerogeni» (secondo Paolo Scampa, presidente dell’AIPRI), non crede che dovrebbe essere l’industria nucleare a dimostrare l’innocuità della tecnologia, piuttosto che la medicina, magari con decenni di ritardo sui danni già procurati?
Dovrebbe essere così. In effetti i tentativi di rassicurazione da parte dei produttori di tali tecnologie non mancano. Peccato che ci si dimentichi che non possa esistere centrale nucleare che per definizione goda di una sorta di “compartimento stagno” dal quale nulla possa uscire. In realtà vi sono molti studi che dimostrano come i radionuclidi, in particolare Trizio e C14, correntemente escano dalle centrali sia per questioni legate al ciclo di raffreddamento dell’acqua che dai camini. Tutto questo come ovvio ha ricadute evidenti sul territorio e di conseguenza sulla catena alimentare. La metanalisi pubblicata nel settembre del 2009 nello studio di IAN FAIRLIE nel settembre del 2009 su Environmental Health, oltre allo studio KIKK, pubblica dati inequivocabili sulla presenza di radionuclidi all’esterno delle numerose centrali prese in considerazione.Si può affermare che incidenti nucleari di tipo INES 0 e 1 non hanno “nessun significato sanitario”?
È un’affermazione molto coraggiosa per non dire scorretta. Infatti non esiste dose di radioattività per quanto piccola che per definizione possa essere ritenuta sicura. Già si discute di questo concetto quando si parla di radiazioni per motivi diagnostici, (radiografie, TAC etc.) che pure vengono assunte per una breve frazione di secondo dal corpo umano. Figuriamoci per assunzioni di dosi di radionuclidi che una volte assunte per via inalatoria o alimentare rimangono nel corpo umano praticamente per tempi lunghissimi (in alcuni organi verosimilmente per sempre) dove esercitano emissione di radioattività in modo continuativo secondo il carattere tipico di quel particolare radionuclide.Il prof. Vincenzo Pepe, presidente di «FareAmbiente», sostiene che le vittime dell’incidente di Chernobyl siano state solo 65. Cosa ne pensa?
Probabilmente il professore si riferisce ai risultati del Chernobyl Forum pubblicati nel 2006. In esso si sostiene che per gli effetti diretti del disastro le vittime siano state solo 56 e 4000 i decessi stimati per le conseguenze. Ma questo rapporto secondo molti ricercatori sarebbe il risultato di tutta una serie di preoccupazioni politiche volte - come spesso accade in seguito a veri e propri disastri ambientali - a minimizzare danni ed effetti la cui portata appare non prevedibile. Il rapporto già in occasione della sua presentazione è stato aspramente criticato da alcuni importanti gruppi di ricercatori che sostengono come vi sia stata un’enorme sottovalutazione del numero di vittime sia reali che potenziali in conseguenza dell’incidente. Ci sarebbe molto da dire sul condizionamento che l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) istituita per la promozione del nucleare civile, esercita sull’OMS. Tra molti altri il prof. NIKOLAJ OMELYANETES vice-capo della commissione per la radioprotezione ucraina, parla nei suoi studi di 35.000 decessi solo per quanti parteciparono alla ripulitura dei territori contaminati. La mortalità infantile è aumentata dal 20 al 30%. I dati di quegli studi, ripetutamente inviati all’OMS sono stati sempre ignorati. Il rapporto TORCH, pubblicato nel 2006 dagli scienziati inglesi IAN FAIRLIE e DAVID SUMNER , evidenzia gli effetti dell’esposizione a basse dosi di radiazioni o alle radiazioni “interne” che vengono assorbite per effetto della catena alimentare. Lo stesso documento parla di una sottostima del Chernobyl Forum di almeno il 30% della quantità di materiale radioattivo contaminante rilasciato dall’esplosione. L’Accademia delle Scienze russa stima che, ad oggi, ci siano stati 140.000 morti in Ucraina e Bielorussia e 60.000 in Russia. La commissione Nazionale Ucraina per le radiazioni pone questa cifra a 500.000.Tutto ciò mentre all’inizio del 2010 sia in Bielorussia che in Ucraina è stato rilevato un netto aumento dei casi di cancro e un ulteriore aumento della mortalità infantile.Nell’ultimo rapporto di "Medici per l’Ambiente-ISDE Italia", si legge che «nel normale funzionamento di qualsiasi centrale nucleare (anche in assenza di incidenti o fughe radioattive) vengono inevitabilmente e obbligatoriamente prodotte e immesse nell’ambiente esterno una serie di sostanze radioattive, che entrano anche nella catena alimentare dell’uomo». Quali sono le implicazioni per l’uomo?
La contaminazione della catena alimentare molto ben studiata e riportata sempre nella metanalisi dello studio di FAIRLIE, rappresenta una delle conseguenze più gravi per l’insorgenza di tumori e leucemie oltre che di malformazioni nell’uomo. La presenza di radionuclidi con emissione continua di energia per tempi lunghissimi all’interno del corpo umano è causa di danni gravissimi. Oltretutto per ragioni di affinità strutturale fisica e biochimica rispetto ai tessuti biologici e a ripetuti stimoli e contaminazioni avviene all’interno del corpo umano un fenomeno di sommazione e concentrazione di queste sostanze con ulteriore aumento della loro patogenicità. Si ripete - insomma - anche per i radionuclidi ciò che è ampiamente riconosciuto e dimostrato per ogni altra sostanza assorbita a causa dell’inquinamento.Giovanni Ghirga, della ISDE Lazio, sostiene che con la costruzione di nuove centrali nucleari si stia violando il cosiddetto “principio di precauzione”. Perché?
Gianni Ghirga ha perfettamente ragione; il principio di precauzione dovrebbe sempre essere applicato - come principio irrinunciabile così come previsto - ogni qualvolta esiste anche solo la “possibilità” (e non la certezza) che una sostanza o un prodotto possano influire negativamente sulla salute. È dunque un principio basato prima che su studi scientifici, sul buonsenso. Ma di questi tempi il buonsenso sembra essere merce sempre più rara sul mercato. O forse è meglio dire che le ragioni economiche di pochi hanno il sopravvento sulla salute dei cittadini.Quali possono essere le conseguenze di una tale violazione?
Il principio di precauzione è previsto dal trattato di Maastricht del 1992, istitutivo della UE all’art. 174, comma 2 ed è contenuto anche nei principi della conferenza dell’ ONU su Ambiente e Sviluppo dello stesso anno. Non ho competenze giuridiche ma credo si possa pensare ad un ricorso alla Corte Europea in caso di mancata applicazione dello stesso.Cosa dobbiamo attenderci, da un punto di vista sanitario, in seguito alla eventuale ripresa del nucleare in Italia?
Purtroppo dopo tutto quanto visto e detto credo ci potremo attendere solo un prevedibile aumento di tumori e leucemie con aumenti di mortalità infantile e di malformazioni.
(«AgoraVox», 8 settembre 2010)

sabato 4 settembre 2010
Se vi piace il nucleare, preparatevi a pagare (parte seconda)
Per capire se il nucleare può davvero portare un risparmio ai consumatori, sarebbe necessario capire innanzitutto quali sono i costi di realizzazione degli impianti. Quanto costa una centrale atomica oggi?
Il fatto è che nessuno lo sa. La domanda iniziale se l’è fatta anche Luca Iezzi, autore del volume Nucleare? Sì, grazie (ed. Castelvecchi, 2009) nel suo blog “Inchiesta nucleare” (in un post dal significativo titolo “Sempre più in alto...”). E risponde: - la centrale bulgara di Belene, della quale non è ancora stato posato un solo mattone, inizialmente stimata intorno ai 4 miliardi di euro, costa già oggi oltre i 9 miliardi, tanto che il ministro bulgaro dell’Economia Traicho Traikov ha deciso di lasciar perdere; - il ministro dell’energia britannico ha rivisto al rialzo le stime nazionali, portando il costo degli impianti inglesi a 6 miliardi di sterline (oltre 7 miliardi di euro). Per fermarsi a soli due esempi. Iezzi non può certo essere sospettato di propaganda antinucleare. I dati sono chiari, indipendentemente dalla provenienza: il reattore EPR di Flamanville verrà consegnato con 2 anni di ritardo e con un costo maggiorato del 50% (tralasciando qui i problemi di sicurezza di questo tipo di reattore, già evidenziati dalla ASN, l’Agenzia francese per la Sicurezza Nucleare).
Simile la situazione ad Olkiluoto, in Finlandia, dove un medesimo cantiere per la costruzione di un reattore EPR da parte della francese AREVA è arenato a tempo indeterminato (mentre i costi continuano a lievitare e non si riesce a stabilire chi debba accollarsi il sovraccosto, se i francesi o i finlandesi). Purtroppo l’EPR è proprio il modello che il governo italiano intende costruire proprio qui, da noi, in Italia. Circa il quale è ancora Iezzi a segnalare che, secondo l’ultimo rapporto sulla politica nucleare commissionato dal governo francese, il reattore EPR risulterebbe “costoso e complesso”. Un eufemismo per un reattore che rappresenta il prodotto di punta di una delle più importanti imprese nucleari del mondo (l’AREVA, appunto) e che, nel momento in cui scrivo, non ha mai visto la luce sulla Terra (rimanendo fermo allo stato di progetto o di cantiere).
In definitiva il rapporto conclude che sarebbe opportuno lasciar perdere del tutto il reattore EPR e progettare un reattore di taglia inferiore. Eppure non è il peggio. Il peggio è infatti che il sottosegretario Stefano Saglia ha affermato lo scorso 27 agosto - con il nobile intento di "impedire che i costi non riconducibili a inadempienze delle imprese si scarichino sulle imprese" - si appresta a “blindare” il ritorno del nucleare in Italia: i costi prima menzionati, ove ci fossero, che so io, un referendum abrogativo della legge, una occupazione nonviolenta dei cantieri, ecc., verrebbero scaricati sui cittadini. Ecco il parere di Greenpeace Italia:
le dichiarazioni di ieri, a Rimini, del sottosegretario Stefano Saglia smascherano definitivamente i trucchi del Governo sul nucleare. Significa che il governo Berlusconi non solo ha intenzione di decidere la costruzione di nuove centrali nonostante il parere contrario delle Regioni e della popolazione, ma vuole anche "blindare" questa scelta per il futuro, pur di regalare soldi ai suoi amici. Insomma, il nucleare, comunque vada, lo pagheranno in bolletta gli italiani. Queste bollette, salate a causa della follia nuclearista del governo, Greenpeace le ha già preparate e distribuite ai cittadini italiani. E che i costi saranno stellari è sicuro, perché il reattore francese Epr, decantato come la terza generazione del nucleare, è in realtà un prototipo del quale non è chiaro nemmeno il progetto: addirittura, i ritardi nei due cantieri esistenti (nessun Epr è mai entrato in funzione a oggi) hanno affossato i bilanci di Areva (l’impresa produttrice) e costretto Edf (l’Enel francese) a chiedere un aumento delle bollette. Puntualmente ottenuto.Potremmo esseri gli unici al mondo a pagare il nucleare in bolletta senza averne mai prodotto neanche un kilowattora. Adesso scusatemi ma devo chiudere la connessione. Sto risparmiando per potermi permettere la prossima bolletta nucleare.
(«AgoraVox», 3 settembre 2010)

venerdì 3 settembre 2010
Nucleare in Francia: Trizio nell’acqua del rubinetto
Il “Collectif antinucléaire 84” (“Collettivo antinucleare 84”) è un gruppo anarchico francese operante nella zona di Gard e Vaucluse, sensibile soprattutto alle tematiche della salute (messa a rischio da inceneritori e impianti nucleari). Di seguito la traduzione di un articolo del 19 agosto scorso.
Le terrificanti confessioni dei consiglieri
Nel mese di febbraio, a seguito di analisi indipendenti, il “Collectif antinucléaire 84” ha avvertito le autorità della presenza di radioattività nell’acqua di rubinetto di 3 città di Vaucluse, di cui 2 presentavano un tasso anormale (superiore a quello naturale) di trizio, pericoloso per la salute. In aprile, di fronte al mutismo dei consiglieri delle città e delle amministrazioni coinvolte, il “Collectif antinucléaire 84” rendeva pubbliche le sue analisi ed informava la popolazione del rischio del bere l’acqua di rubinetto. L’unica risposta dei sindaci di Carpentras e Mornas in sostanza fu, alla radio e sulla stampa:
non preoccupatevi, è tutto come prima, l’acqua di rubinetto può essere bevuta.Oggi emerge che quelle frasi rassicuranti non poggiavano su nessun elemento razionale, affidabile o tangibile - al contrario - e che solo il dogmatismo pro-nuclearista o l’incoscienza aveva condotto quei sindaci a simili affermazioni. Il “Collectif antinucléaire 84” aveva immediatamente denunciato questo atteggiamento che considera la gente tanto infantile da accettare qualunque frase ufficiale.
Oggi alcuni documenti "segreti" danno ragione al “Collectif antinucléaire 84”. Nell’ambito di una corrispondenza che avrebbe dovuto rimanere nascosta alla popolazione, il Comune di Carpentras confessa:
riguardo al comune di Carpentras, l’acqua potabile è una competenza trasferita al comitato Rhône Ventoux, che l’ha a sua volta delegata alla SDEI (filiale del gruppo nucleare GDF-Suez). [...] Il Comune di Carpentras non possiede altre analisi tramite le quali confrontare il valore di 8,2 Bq/l. Ho richiesto al comitato Rhône Ventoux di comunicarci i risultati delle analisi relative al trizio sull’acqua proveniente dalla nostra stessa falda. Lo stesso comitato fa riferimento alle analisi dell’ARS....Così si torna al punto di partenza: tutti fanno riferimento alla stessa fonte, e nessuno è competente né responsabile! Davanti a una tale situazione, il “Collectif antinucléaire 84” ha interpellato con una lettera i Prefetti della Regione e di Vaucluse, il 20 luglio, chiedendo loro di applicare il principio di precauzione:
Come sapete, anche la minima dose di radioattività ha effetti nocivi sulle reauture viventi e sulla salute e non esistono norme internazionali in materia che provino l’innocuità dell’esposizione alle radiazioni delle popolazioni e della catena alimentare... allo stato attuale delle conoscenze, sappiamo che le patologie indotte non si limitano al cancro e si estendono alle patologie del sistema nervoso e alle malattie cosiddette ereditarie dovute agli effetti mutageni del trizio... Noi vi chiediamo quindi di applicare senza indugio o scrupolo per quelli che potrebbero essere gli interessi economici dell’industria, in particolare quella nucleare: il principio di precauzione e di protezione dei lavoratori e della popolazione implica l’arresto immediato della produzione di Trizio e di ogni altro radioelemento, e che si portino avanti analisi sistematiche delle acque distribuite attraversi i rubinetti, della catena alimentare e delle colture locali e regionali, al fine di determinare la presenza di radioattività artificiale (Alpha, Beta, Trizio).E lì ancora una volta: imbarazzo e silenzio ufficiale. Ed anche disprezzo delle popolazioni. L’influenza della lobby nucleare e dei suoi affiliati sui consiglieri e sulle istituzioni, tanto al livello locale quanto a quello regionale e nazionale, è una minaccia concreta per la democrazia e la salute, che sottomette la popolazione all’arbitrio e alla menzogna.
[...] Il “Collectif antinucléaire 84” invita la popolazione e gli operatori del settore nucleare a rifiutare di servire da cavie ai dogmi degli scienziati nucleocrati, ad esigere l’arresto immediato del nucleare.
(«AgoraVox», 2 settembre 2010)

giovedì 2 settembre 2010
Generazione distribuita. Intervista ad Armando Fanelli
Laureato in Ingegneria Elettrica, indirizzo Energia, al Politecnico di Bari, mi occupo di energie rinnovabili, risparmio energetico e studi ambientali. Sono Responsabile Tecnico della Esco (Energy Service Company) Mediterranea Energia srl. Gestisce il blog “Generazione distribuita”, sul tema dell’energia, in particolare in Italia.
Si afferma sempre più l’idea che il nucleare sia una fonte energetica “pulita” (in quanto la sua produzione non genera CO2). Cosa ne pensa?
Per rispondere a questa domanda, segnalo un testo che mi permetto di consigliare “Il Nucleare Impossibile” a cura di Virginio Bettini e Giorgio Nebbia, 2009 Ed. Utet, che presenta degli studi internazionali utili proprio sulla comparazione dell’emissione di CO2 delle diverse tipologie di centrali elettriche. I risultati sono contrastanti e contradditori, tuttavia, riassumendo, si può affermare che le emissioni di anidride carbonica espresse in grCO2 /kWhe (grammi di CO2 per kWh elettrico) oscillano da un minimo di 2 a un massimo di 156 per il nucleare, da 11 a 37 per l’eolico, da 6,3 a 64 per l’idroelettrico, da 385 a 460 per il ciclo combinato a gas, da 755 a 941 per il carbone (pagg 57, 58); lo studio continua dimostrando che, per diverse concentrazioni di uranio, per una centrale nucleare si arriva anche ad avere emissioni superiori a quelle di una centrale a gas. È ovvio che questi numeri prendono in considerazione non solo il ciclo di vita dell’impianto ma anche tutto ciò che è a monte (costruzione, approvvigionamento, ecc.) e ciò che è a valle (smaltimento, bonifica, ecc.). In questa classifica rientrano anche altre forme di energia, come il fotovoltaico (pag. 220), tuttavia, non dovrebbe essere più messo in discussione che l’energia nucleare è tutt’altro che a emissioni zero. In ogni caso, l’emissione di anidride carbonica non è l’unico fattore inquinante che interviene in centrali termoelettriche/nucleari, dovremmo aggiungere polveri sottili, metalli e cos’ via, a differenza delle rinnovabili, che sono realmente a emissioni zero durante il loro ciclo di vita.
I pronuclearisti sostengono che la sicurezza degli impianti di terza generazione sia indiscutibile, e che i rari incidenti siano tutti di entità trascurabile e di nessun rilievo sanitario per la popolazione.
In un mio articolo ho riportato la seguente notizia: “Authority contro i reattori francesi. Dagli organismi di sicurezza di Parigi, Londra e Helsinki riserve sul programma EPR”. L’unica certezza dei cosiddetti impianti di “terza” generazione è che il sito di Olkiluoto, li dove è in costruzione lo stesso EPR che si vuole proporre in Italia, è in tremendo ritardo, ancora cantiere aperto, con disastrose conseguenze economiche. Tuttavia, tale EPR dell’Areva o l’equivalente AP1000 della Westinghouse, sono ritenuti estremamente sicuri. È un’affermazione pari al pronostico che potrei fare sulla prossima squadra vincente ai mondiali di calcio. Dati alla mano, gli impianti attualmente esistenti stanno presentando continui incidenti, tra l’altro inevitabili dato il naturale legame intrinseco tra i guasti e gli impianti tecnologici. In ultimo, va esclusa l’idea di “terza” generazione, visto che tali impianti rispetto ai predecessori di “seconda” hanno ben poco di diverso. A parte la doppia corazza utile all’eventuale caduta di un aereo sul sito, non ci sono sostanziali differenze nel processo di lavorazione, se non nel design, e questo significa che gli incidenti come quelli causanti l’inquinamento delle acque di raffreddamento e quindi delle falde, che sono i più frequenti registrati, si potranno verificare allo stesso modo.
Uno degli argomenti più spesso ripetuti a favore del nucleare è quello dell’indipendenza energetica. L’atomo può renderci davvero autarchici?
Questa volta risponderò brevemente. Così come non è possibile essere indipendenti dal petrolio (carbone, gas o combustibile fossile che sia), allo stesso modo possiamo dimenticarci di sperare in un mondo libero se vorremo usare materiale radioattivo. Le logiche che interverranno saranno le stesse che hanno dominato la scena mondiale degli ultimi anni dall’inizio dell’uso del petrolio, vale a dire guerre, logiche politiche, commerciale e così via. Un paese come l’Italia dovrebbe acquistare il materiale nucleare da altri paesi. Sarebbe utile ad esempio mostrare a chi pensa che l’uranio si trovi sotto l’asfalto, cosa significa estrarlo, trasportarlo, modificarlo e utilizzarlo. Un esempio è ciò che avviene nel Niger, dove la francese Areva attinge per i suoi impianti. Studi di Greenpeace hanno mostrato a tutto il mondo, anche con video, cosa si cela dietro la faccia oscura del nucleare.
Il nucleare è davvero più economico in bolletta dell’elettricità prodotta da altre fonti?
Attualmente abbiamo le bollette più care d’Europa semplicemente per tre grandi motivi:
1. dipendenza dei combustibili fossili 2. inefficiente mercato libero dell’energia 3. notevoli disparità fiscali. Migliorando il secondo e terzo punto, arriveremmo alla pari di altri paesi, come la Francia (che ha un prezzo più basso per tali motivi e non per l’uso del nucleare). Se eliminassimo anche il primo, arriveremmo alla pari di paesi come Germania e Danimarca, dove attualmente intere città passate totalmente al rinnovabile, hanno annullato il costo della bolletta! Naturalmente per arrivare a ciò, sarebbe assurdo passare per il nucleare che, in ogni caso, è comunque un combustibile fossile.
Eminenti luminari riportano spesso “l’esempio francese”. La Francia dovrebbe essere un esempio per noi?
Non credo che sentiremo più parlare di esempio francese, in quanto la Francia non solo è a rischio blackout come lo eravamo noi nel 2003 (tutti ricorderanno le ore al buio del 28 settembre di quell’anno), ma per la prima volta nella sua storia si trova a dover importare energia dall’estero, così come abbiamo fatto noi per tanto tempo in passato! Ironia della sorte però, mentre loro si sono resi conto dell’inefficienza del nucleare e quindi non hanno in previsione alcuna costruzione, hanno trovato l’Italia il giusto sito dove andare a vendere le centrali dell’Areva (controllata dall’EDF).
Secondo Lei, in che modo possiamo aspirare a una concreta, reale, pulita ed economica indipendenza energetica?
La risposta sta nel concetto di “generazione distribuita” che descrivo nella prossima domanda, tuttavia la strada da prendere non considera solo la produzione di energia elettrica. Come ben spiega Lester Brown in “Piano B 3.0” (ed. Ambiente; è uscito da poco l’aggiornamento Piano B 4.0), bisogna percorrere l’intera impronta ecologica dell’uomo sul pianeta (vedi anche Fred Pierce in “Confessioni di un eco peccatore”, ed. Ambiente), partendo da come ci muoviamo, quindi i trasporti, da dove viviamo, cioè la realizzazione delle nostre case, da come viviamo, quindi quanto consumiamo di acqua ed energia in casa, da cosa consumiamo, dai cibi ai vestiti. Ma per rispondere più concretamente alla domanda, concentrandosi solo sulle forme di generazione di energia elettrica, si tratta di scegliere se investire enormi somme su un nucleare che a medio termine ci porterebbe a pagare più di quanto non facciamo già, oppure se continuare a sperare nelle giacenze di petrolio, gas o carbone, invece che scegliere le forme di energia rinnovabili, quali sole, vento e acqua. Solo il solare a concentrazione, per il quale il nostro Giorgio Nebbia ha dato un contributo decisivo, che solo oggi presenta rendimenti alla pari con le centrali termoelettriche, ci dice che se sfruttassimo solo il 2% del deserto del Sahara (terreno attualmente credo abbastanza inutilizzato) produrremmo energia sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno mondiale.
Gestisce il blog “Generazione distribuita”. Perché questo nome?
Ad oggi si discute sostanzialmente di quale fonte di energia possa essere quella vincente, pensando però sempre a grandi centrali elettriche installate a chilometri di distanza dalle utenze. Che si tratti di nucleare o di un parco eolico o fotovoltaico (ultima moda delle grandi società) il risultato è sempre quello di produrre energia che deve essere trasformata in cabina elettrica, percorrere chilometri e ritrasformarsi per entrare nelle case e negli uffici. In tutto questo si è perso almeno il 30%, che ovviamente viene pagato in bolletta, per non parlare della dipendenza di un sito dalla rete (blackout) e dalla dipendenza economica (aumenta il costo di approvvigionamento della materia prima, aumenta il costo in bolletta). Se invece tutti noi, case, industrie, ospedali, ci producessimo energia in casa nostra, con un pannello fotovoltaico, un impianto microeolico, un cogeneratore, avremmo energia illimitata, bolletta azzerata e totale indipendenza economica. Ciò che ho appena descritto è quella che viene definita “generazione distribuita”, vale a dire produrre in prossimità del sito, quindi senza dover costruire centrali gigantesche (che tra l’altro arricchiscono solo le grandi aziende), ma solo piccolissimi impianti dimensionati per le singole utenze (che arricchiscono solo il cittadino). Questa è una realtà ben avviata in paesi all’interno di diverse nazioni europee (in particolare Germania, Austria, Danimarca), vale a dire in comuni che hanno raggiunto l’indipendenza energetica producendo in casa propria energia elettrica e termica da 100% fonti rinnovabilli, vendendo l’eccesso al distributore locale di rete, quindi arricchendosi.
La Germania ha annunciato di essere in grado di produrre il 100% della propria elettricità da fonti rinnovabili entro il 2050. Un castello in aria, o un esempio da seguire?
È un’assoluta realtà. Sarà matematico che riusciranno a raggiungere questo obiettivo e non è l’unica nazione. Ciò che sta succedendo in questi paesi, vedi infatti in Austria nella città di Gussing, in Danimarca nell’isola di Samso o in Germania nel paese di Schonau, è che singoli municipi hanno iniziato a raggiungere la condizione di indipendenza economica da 100% rinnovabile, e così la situazione si è estesa ad alcune province. Il processo si sta estendendo e inevitabilmente nel corso dei prossimi anni coprirà l’intera nazione. Sicuramente la Danimarca e la Germania sono le nazioni da prendere come esempio, poiché costruendo case a basso consumo, migliorando i trasporti pubblici e le vie per i ciclisti, sposando la cultura del rinnovabile, saranno le prime nazioni ad essere 100% rinnovabili. Ovviamente anche l’Italia può non essere da meno, e lo dimostra l’ultimo rapporto di Legambiente da cui si evince che diversi comuni sono anch’essi sulla buona strada per trascinare l’intera nazione ad essere totalmente sostenibile.
(«AgoraVox», 1 settembre 2010)

giovedì 26 agosto 2010
Nucleare: quello che i cittadini non devono sapere
Anche la Francia, da noi spesso additata come esempio di “nucleare di successo”, ha i suoi “peccati nucleari”. Quelle cose che i francesi non devono assolutamente sapere.
L’IRSN (Istituto di radioprotezione e di Sicurezza Nucleare), ente francese il cui folgorante motto è “l’unica ambizione dell’IRSN è portare avanti la causa della sicurezza nucleare”, fornisce dati sulla contaminazione radioattiva in generale, e in particolare sui rilievi radiologici aerei (la quantità di polveri radioattive presenti nell’aria). Fornisce dati, dicevo, ma non tutti i dati. La scrematura tra ciò che l’Istituto conosce e ciò che pubblica è ampia. Soprattutto, l’ente non è obbligato a pubblicare tutti i dati, nemmeno su richiesta dei cittadini.
Come fare allora ad accedere ai dati rilevati (soprattutto dopo che i recenti incendi in Russia hanno risollevato le polveri radioattive del disastro di Chernobyl e dei test atomici riportandole nell’aria anche in Europa)? Non resta che appellarsi al tribunale, per ottenere che il giudice - magari sulla base del diritto del cittadino ad essere informato - costringa l’IRSN a pubblicare i dati. Ovvero: ci si appella al tribunale per ottenere che il giudice nomini un esperto che abbia accesso ai dati dell’IRSN.
È quello che ha tentato di fare l’AIPRI (Associazione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti), nella persona del Presidente, Paolo Scampa, tramite l’avvocato Emmanuel Ludot, presso il Tribunale Amministrativo di Parigi. Il quale - giudice Sylvia Mille - ha respinto la richiesta (pare che ciò avvenga sistematicamente, senza eccezioni), per il seguente motivo: non vi sono in atto controversie legali nell’ambito delle quali tali informazioni potrebbero giovare al procedimento (sentenza del 16 agosto 2010, n° 1015026/11-7, allegata - in lingua francese). Cioè: non perché sia vietato dalla legge; non perché non sia opportuno; e nemmeno per difetto di competenza. Ma poiché non c’è nessuna causa in corso sull’argomento, i dati “non servono”. Tuttavia, è ovvio che - prima di decidere se sporgere una eventuale denuncia e preparare un’azione legale - bisognerebbe conoscere i dati. Se no cosa si contesta? La reticenza dell’IRSN, a quanto pare, secondo il Tribunale di Parigi, non è una azione legalmente perseguibile. La conclusione è che in Francia i cittadini non hanno nessuna possibilità di conoscere i dati di cui l’ente pubblico IRSN è a conoscenza (e raccoglie con i loro soldi).
Ricapitolando: i dati esistono e sono noti all’IRSN; l’IRSN non vuole pubblicarli e nessuno lo costringe a farlo. Non mettiamo in discussione né la prassi dell’Istituto né quella del giudice. Semplicemente ci domandiamo: perché si preferisce nascondere questi dati? Perché l’IRSN non li pubblica spontaneamente? Perché il giudice (almeno su richiesta) non costringe l’Istituto alla diffusione delle informazioni? Cioè, infine: che cos’è che i cittadini francesi non devono sapere?
Non è che uno voglia pensare sempre male. Però certe volte sembra non esserci proprio alternativa.
(«AgoraVox», 26 agosto 2010)

domenica 15 agosto 2010
Indipendenza nucleare
Oggi ascoltiamo altri due luminari della scienza, l’astrofisica Margherita Hack e l’oncologo Umberto Veronesi, la cui opinione in materia di energia atomica (sebbene non si tratti di due fisici nucleari) ci sembra importante da accostare a quella di Zichichi.
I due studiosi sono firmatari, tra gli altri, di una lunga lettera indirizzata al segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, finalizzata a spiegargli che “il nucleare non è né di destra né di sinistra” e che non bisogna esser prevenuti nei suoi confronti.
Riportiamo una parte della lettera:
Una situazione che richiederebbe scelte ragionate, risposte strutturali “sostenibili” oltre che efficaci sia in termini di riduzione dello sbilanciamento strategico del mix energetico nazionale, sia in termini di miglioramento del suo impatto ambientale complessivo. Per definire tali scelte a nostro avviso tutte le opzioni dovrebbero essere considerate, nessuna esclusa, inclusa quella nucleare, non come “la” soluzione ma come “parte della” soluzione. L’energia nucleare, quasi ovunque, nel mondo industrializzato è vista come un’insostituibile opportunità che contribuisce alla riduzione del peso delle fonti fossili sulla generazione di energia elettrica, compatibile con un modello di sviluppo eco-sostenibile. Dal punto di vista ambientale non vi è programma internazionale accreditato per la riduzione della CO2 che non preveda anche il ricorso all’energia nucleare e non vi è un solo studio internazionale che affidi alle sole rinnovabili il compito di ridurre il peso dei combustibili fossili.
Spiacente di contraddire i benemeriti firmatari, ma lo “studio internazionale che affidi alle sole rinnovabili il compito di ridurre il peso dei combustibili fossili” esiste eccome, ed è la relazione dell’Agenzia federale tedesca per l’ambiente, commissionata dal Ministero dell’Ambiente della Germania.
Il punto da chiarire, tuttavia, è un altro. Quando si dice che il nucleare dovrebbe coprire entro il 2030 il 25% del fabbisogno energetico nazionale (affidando la restante parte per 2/3 ai combustibili fossili e per 1/3 alle rinnovabili, il cosiddetto “mix energetico”), in realtà non si sta parlando del fabbisogno energetico complessivo, ma solo del fabbisogno di energia elettrica, pari al 20% del totale (composto per la maggior parte dal riscaldamento domestico e dagli spostamenti su gomma). L’energia nucleare dovrebbe quindi coprire una richiesta del 25% del 20%, pari al 5% del totale. Mentre il restante 95% andrebbe prodotto in altri modi.
Ci si domanda se il discorso abbia un senso. Spendere miliardi (e non pochi) di euro per costruire centrali delle quali non sarà verosimilmente possibile prevedere i costi di costruzione, né i tempi di realizzazione, né il prezzo finale del confinamento in sicurezza delle scorie e tutto per un misero... 5%. Una minima parte di queste cifre, investita in ricerca, sperimentazione, benchmarking e incentivazione, potrebbe permetterci di aspirare (perché no?) agli stessi risultati della Germania. (Accenno solo di volata al problema delle scorie: per gli scienziati citati, esso semplicemente «costituisce un grande tema di ricerca e innovazione tecnologica», e non un problema da risolvere assolutamente prima di cominciare: questo in barba a ogni preteso pragmatismo scientifico, abituato a dire che gli “ambientalisti” non fanno altro che crogiolarsi nei problemi invece di risolverli).
Per rimanere in tema di convenienza economica, val la pena di ricordare che:
il prezzo dello yellowcake (miscela di ossidi di uranio ad alta concentrazione - contiene circa il 70% di uranio - ottenuta dalla raffinazione del materiale estratto - che al contrario ne contiene solo l’1%) è aumentato di 6 volte in soli 7 anni (dal 2000 al 2007), come accade ad ogni risorsa che comincia a scarseggiare: ciò anche perché abbiamo superato già da molti anni il punto di turnover per l’uranio (cioè ne consumiamo più di quanto se ne estragga);



Insomma, non per amore dell’autocitazione, ma perché suona bene, fa rima ed è innegabile: se vi piace il nucleare, preparatevi a pagare.
(«AgoraVox», 13 agosto 2010)
(«AgoraVox», 13 agosto 2010)

venerdì 13 agosto 2010
Fonti rinnovabili e creatività tedesca
La Germania ha annunciato di essere in grado di produrre, entro il 2050, il 100% dell’energia elettrica del Paese tramite fonti rinnovabili. Lo comunica il Ministero dell’Ambiente tedesco, forte di una relazione predisposta dall’Agenzia federale per l’ambiente presieduta da Jochen Flasbarth.
Speranza campata per aria? Tutt’altro: diremmo piuttosto affidata al vento. E al sole. E all’acqua. Ecco i risultati dello studio dell’Università di Kassel, riportati dal sito inglese Treehugger:
Che la Germania sia sulla strada di una autentica indipendenza energentica, affidata al 100% a fonti rinnovabili? Un esperimento condotto dall’Università di Kassel in collaborazione con 3 compagnie produttrici di energia, sfida le convinzioni diffuse circa le energie rinnovabili e suggerisce che l’energia nucleare e fossile possa essere fatta fuori e rimpiazzata dalle rinnovabili - senza incidere sulla fornitura di elettricità alla rete nazionale.Ecco a cosa si prepara (pragmaticamente, in pieno stile tedesco) la nostra cugina d’oltralpe. Poche chiacchere, molti fatti. E molte idee. Quello che sembra mancare a noi, che non facciamo altro che rovistare nel cassone della roba vecchia.
L’energia rinnovabile ha i suoi limiti. Nei giorni nuvolosi, il sole non raggiunge i pannelli solari, e a volte non c’è vento che alimenti i mulini a vento. Gli scienziati tedeschi, tuttavia, hanno messo su un "Impianto energetico combinato" sperimentale, che trae energia da 36 diversi impianti energetici, solari, eolici, idroelettrici e a biogas ubicati in posti diversi del paese. L’obiettivo è dimostrare che le fonti rinnovabili forniscono energia in maniera consistente e affidabile, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche e a fronte di una domanda variabile.
E, per ora, hanno dimostrato che è possibile, almeno su scala ridotta. L’esperimento fornisce energia a sufficienza per soddisfare il 100% della richiesta annuale di una cittadina con 12.000 famiglie. Ecco le conclusioni del prof. Jürgen Schmid dell’Università di Kassel:
Se le rinnovabili continuano a crescere alla velocità attuale, saranno in grado di fornire alla Germania il 40% circa del suo fabbisogno di elettricità nel 2020. Potremo quindi raggiungere il 100% per la metà del secolo.Una interessante innovazione è costituita dal dispositivo per l’immagazzinamento dell’energia del vento nei periodi in cui la produzione di elettricità supera la domanda della rete. L’energia in eccesso viene utilizzata per pompare acqua verso la sommità di una collina, dove viene conservata in un ampio bacino, per essere poi rilasciata (movimento che crea ulteriore energia) quando la rete subisce un picco nella richiesta di elettricità. Questa forma di “immagazzinamento” dell’energia incrementa la consistenza della fornitura di elettricità, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche.
(«AgoraVox», 12 agosto 2010)

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