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venerdì 22 aprile 2016

O. Brockett, Storia del teatro. Nuova edizione italiana, ed. Marsilio, 2016

Il teatro è una forma d’arte tra le altre. Non ci piove. Eppure c’è qualcosa che lo rende “primo tra gli uguali”, in una sorta - non di competizione - ma di classificazione; sarà il fatto che il teatro riunisce in sé, magari non in ogni singola circostanza, ma potenzialmente sempre, tutte le altre: in una rappresentazione scenica c’è posto, oltre che per la recitazione del testo, per la musica, per la danza, per il canto, per i giochi di luce… o sarà forse quella sua capacità unica - nessun’altra forma d’arte la possiede - di creare istantaneamente coesione fra gli spettatori intorno a un’idea, a un valore, a un’emozione: al punto che il potere lo teme e lo contrasta, quando non può addomesticarlo. Fare la storia del teatro, è raccontare come l’uomo abbia cercato di produrre e di comprendere tutto questo: studio intrinsecamente interdisciplinare al termine del quale - contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare all’inizio - può darsi che non si riesca a individuare nessun “principio unificante”; o, peggio, che il teatro si mostri non come una inalienabile costante umana, ma piuttosto come “anomalia”, di cui popoli e culture hanno fatto volentieri a meno (a volte deliberatamente e in piena consapevolezza)...
Il gigantesco e splendido lavoro di Oscar Brockett (qui offerto al lettore italiano in un volume unico di oltre ottocento pagine, rilegato a filo, con un nutrito apparato iconografico e fotografico) ripercorre la storia del teatro dalle origini (Egitto, Grecia, Roma) ai giorni nostri (l’ultimo capitolo arriva a coprire l’inizio del terzo millennio), e lo fa nell’unico modo possibile: andando oltre la storia stessa, nel tentativo di cogliere l’estetica che ne trapela. Perché il teatro è in primo luogo una forma d’arte: e rinunciare alla sua essenza, a causa del fatto (o con l’alibi) che il suo oggetto è sempre materialmente assente (di fatto, il teatro svanisce al termine della rappresentazione; e volerne dar conto a posteriori è un po’ come cercare di fare la critica di un brano musicale che non si è mai ascoltato), significa rinunciare a comprenderlo veramente. Lo studio proposto, pensato per gli studenti delle università americane (ma qui adattato alle esigenze di quelli italiani, grazie all’ottima cura di Claudio Vicentini, che ha tra l’altro rivisitato e aggiornato la bibliografia), spicca per il suo taglio pratico e per il suo linguaggio chiaro e immediato (merito anche della traduttrice italiana). Una riflessione a trecentosessanta gradi sul teatro e sulla sua specifica “anomalia estetica”. Consigliato.


O. Brockett, Storia del teatro. Nuova edizione italiana, ed. Marsilio, 2016.

(«Mangialibri», 22 aprile 2016)

lunedì 1 settembre 2014

F. Dürrenmatt, Un angelo a Babilonia, ed. Marcos y Marcos, 2014

Kurrubi, essere angelico creato da Dio solo dieci minuti prima, è appena arrivata sulla terra insieme al suo angelo accompagnatore. Per la precisione, sono giunti entrambi in Babilonia, alla ricerca dell’uomo più umile della terra, al quale Kurrubi verrà data in sposa. Facile, pensa l’angelo: basterà rintracciare Akki, l’ultimo mendicante rimasto nel paese, dopo che la legislazione di Nabucodonosor ha messo fuori legge questa antica “arte”; ma le cose si rivelano presto più complicate. E non solo perché di mendicante sembra essercene più d’uno; mezza Babilonia, da quando ha visto Kurrubi, se n’è innamorata e ha cominciato a scrivere testi per lei: è la metà maschile della popolazione, mentre quella femminile urla e impreca contro di lei e vorrebbe vederla morta (o almeno altrove).

mercoledì 23 luglio 2014

La diversità va in scena. Dialogo con Alina Narciso su intercultura e teatro

Alina Narciso si occupa di teatro da oltre vent’anni, cercando di avvicinare la cultura napoletana a quella sudamericana, soprattutto di provenienza afro. Già vincitrice di diversi premi teatrali sia in Italia sia all’estero, è la fondatrice e direttrice artistica de la Biennale internazionale di drammaturgia femminile “La scrittura della differenza” (che coinvolge 14 Paesi) e dirige la casa editrice Metec Alegre (www.metecalegre.com) che ha sede a Napoli. L’abbiamo incontrata, al telefono, pochi giorni fa.

Una nuova casa editrice che si occupa esclusivamente di teatro: una scelta audace, soprattutto di questi tempi.
E che si occupa esclusivamente di drammaturgia femminile, per di più! Almeno al momento; anche se speriamo che l’andamento prossimo del mercato digitale, sul quale puntiamo molto, ci permetta di ampliare gli orizzonti delle nostre collane. Però il progetto - a capo del quale c’è un giovane – Francesco Miccio che ne è il Responsabile Editoriale – è per ora essenzialmente una “Start-up”, anche se non nasce oggi, ma ben quattro anni fa, tra il 2010 e il 2011.
“Drammaturgia femminile”: che significa?
La drammaturgia femminile è il teatro scritto dalle donne, e mette in scena il punto di vista delle donne, che rappresentano, come si diceva una volta, “l’altra metà del cielo” e noi vorremmo…. anche della “scena”! Ciò non significa che i temi trattati siano quelli considerati “femminili” ma, al contrario, l’intera realtà contemporanea, e la realtà interessa tutti.
Qui si inserisce Malena, il Suo ultimo testo, peraltro vincitore della XIII edizione del Premio di scrittura femminile “Il Paese delle donne” nella sezione teatro.
Appena pubblicato in volume, sì. Si tratta di un testo semplice nella linea narrativa – un flusso di coscienza - che tuttavia rivela una certa complessità nell’uso delle lingua da parte dei personaggi e soprattutto è il frutto di un lungo lavoro di “integrazione” tra il testo scritto e la parte musicale (per la quale ho avuto la fortuna di collaborare, ancora una volta, con l’amico e musicista cubano Walfrido Domínguez); per questa ragione il libro è stato pubblicato con gli spartiti alla fine – come fosse un libretto d’opera – e stiamo pensando di realizzare un audiolibro.
I personaggi dunque dei suoi testi non parlano “la loro lingua”, ma “diverse lingue”?
In realtà ciascuno parla la propria, che però non è mai l’unica: ognuno di noi - la globalizzazione ha accelerato questo processo a dismisura - parla un idioma che attinge a tante lingue diverse (l’inglese, il francese, lo spagnolo…) e mescola le parole in modo ormai quasi inconsapevole e “automatico”. Così i personaggi di Malena (e un po’ di tutte le nostre pubblicazioni) usano parole, espressioni, citazioni da lingue diverse… possono anche non aver mai viaggiato all’estero, ma, senza rendersene conto, compiono un’operazione di sincretismo linguistico.
Quale storia si racconta in Malena?
La storia di Malena è quella di una donna che - per inclinazione personale, o per pressioni familiari e ambientali - si è chiusa in un “giardino d’inverno” e, dall’interno di questa sua clausura, ripercorre le tappe della sua esistenza (che, come per ognuno di noi, non sono mai solo quelle personali, ma anche quelle del contesto politico e sociale in cui si è vissuto). Nessun intento didascalico al riguardo: si parla ad esempio di Che Guevara, ma senza intenti agiografici, Che Guevara è parte importante della cultura della protagonista che è italo-argentina. In Malena, in particolare, c’è molto dell’Argentina; a partire dal nome (che è il titolo di un notissimo tango).
Come intende l’intercultura oggi?
Come l’ho sempre intesa: facendola. Nel 1996 - primo esperimento del genere a Napoli - misi in scena uno spettacolo con un attore africano: all’epoca non ce n’erano, quando si presentò alle mie selezioni raccoglieva pomodori a Villa Literno. «Voglio fare l’attore» mi disse. Gli diedi la formazione di base e andammo in scena: fu un grande successo. Molti furono d’altro canto i “perplessi” che obiettarono che la sua pronuncia/dizione era imprecisa; faceva parte del “gioco” anche quello, ovviamente: la pronuncia non poteva che essere imprecisa, essendo lui uno straniero! Si chiama Jacob Ibrahim, del Benin: oggi è un attore professionista; e poiché è ancora l’unico attore professionista di colore, ogni volta che c’è bisogno di un africano “vero”... chiamano lui.
Un saluto al lettore italiano… e un invito a leggere i libri Metec Alegre.
Io adoro Marquez, ma non si vive di solo Marquez! In Italia c’è una triplice scarsa attenzione alla letteratura sudamericana: primo, si dà pochissimo spazio ai contemporanei; secondo, lo spazio riservato al teatro è praticamente nullo; terzo, si può tranquillamente affermare che oggi nessun editore italiano abbia una collana di drammaturgia femminile. E ce n’è tanto bisogno: è un mondo ricchissimo e potente da scoprire e approfondire sempre più. I classici sono i classici: non si discute. Ma il teatro femminile contemporaneo è qui.
Quali sono le ultime notizie della VII edizione della Biennale? Che anteprima possiamo dare ai lettori di questo giornale?
Per ora possiamo solo dire che la giuria ha già deciso… ma i nomi delle vincitrici verranno resi resi noti solo a settembre. Continuate a seguirci!
(«Pagina3», 24 luglio 2014)

sabato 12 aprile 2014

C. Trionfi, E tu m’amavi… - Di tanti palpiti… Due duetti improbabili, ed. Era nuova, 2013

«È un luogo comune quanto mai difficile da scalzare che il teatro sia qualcosa da vedere, cui assistere, magari partecipare… ma in ogni caso non da leggere. Leggere uno scritto teatrale sembra qualcosa di riduttivo, o addirittura inadeguato. Questo fa sì che, di fatto, soltanto una minima parte delle persone - per i tanti motivi logistici legati alla presenza delle sale sul territorio - possa alla fine accedere a una minima parte dell’opera teatrale universale. Mentre sarebbe così facile spiegare che il teatro - come ad esempio la poesia, adatta alla lettura quanto alla recitazione - può venir letto. Tutto qui. Invece, a causa di questo pregiudizio, i libri di teatro non si vendono; di conseguenza, nessuno conosce il teatro».

Così Claudio Trionfi - attore e doppiatore che non ha bisogno di presentazioni - introduce la serata del 21 marzo scorso alla Biblioteca perugina di San Matteo degli Armeni, dove si è potuto assistere alla lettura dei duetti “improbabili” E tu m’amavi… e Di tanti palpiti..., due famose arie d’opera su cui si fondano altrettante storie d’amore atipiche ma tutt’altro che inverosimili. Per mettere in pratica la sua teoria (anche causa la mancanza di un tempo sufficiente) Trionfi ha interpretato (e stupendamente, anche grazie all’eccellente supporto di Stefania Romagnoli Mara Fraticelli) entrambi i duetti, ma a metà: i finali delle storie sono stati rivelati solo a chi ha avuto la fortuna di riuscire ad acquistare una copia del libro all’uscita.
Esperimento riuscito, dunque, anche grazie all’audacia dell’editore il quale, nonostante la crisi sferzante, soprattutto per la cultura, non rinuncia a varare la nuova sezione Melpomene, riservata al teatro, nella collana Melete, già dedicata alla narrativa e alla poesia.


Claudio Trionfi, E tu m’amavi… - Di tanti palpiti… Due duetti improbabili, ed. Era nuova, 2013, pp. 140, euro 10.

(«Pagina3», 12 aprile 2014)