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sabato 7 marzo 2015

Marco Albino Ferrari, La via del lupo, ed. Laterza, 2012

«Non è dalla fisionomia dell’impronta, così simile a quella di un cane di grossa taglia, che si riscontra la presenza del lupo. È dall’andamento delle tracce, è dal modo in cui l’animale si è mosso nell’ambiente che arriva il messaggio. Non sull’orma bisogna concentrarsi, ma sull’andamento dell’animale. Per distinguere le tracce giuste - e in pochi lo sanno fare - bisogna insinuarsi nella mente del lupo». Hai voglia di star lì a pedinare gli esemplari “radiocollarati” (ai quali cioè è stato attaccato un collare dotato di radiotrasmettitore) e a studiare i manuali, i modelli, le mappe. Il lupo non va solo studiato né solo ammirato - magari con “timore e tremore” - ma compreso. Solo così è possibile avvicinarsi a lui e seguirne la via, che dai Monti Sibillini attraversa l’Appennino e giunge fino in Valsavarenche, in Val d’Aosta, dopo essere stato nel Parco francese del Mercantour e in quello Nazionale del Gran Paradiso…
Incantevole “diario di viaggio” di un appassionato di montagna che tanto tempo ha passato a “farsi prossimo” a un animale di per sé sfuggente, la cui sola ombra mette a sua volta in fuga ogni mortale. La storia del lupo è quella di un essere in costante rischio di estinzione, ma che continua a resistere strenuo e a popolare il nostro territorio in maniera erratica e affascinante. Questo bellissimo libro si legge come un romanzo (non è il solito modo di dire) ed è corredato di un elenco di “decreti, leggi, convenzioni e direttive europee per proteggere il lupo” e di un glossario di termini tecnici, da “alpeggio” a “trapping”. Consigliato.


Marco Albino Ferrari, La via del lupo, ed. Laterza, 2012.

(«Pagina3», 7 marzo 2015)

giovedì 12 febbraio 2015

M. Armiero (a cura di), Teresa e le altre, ed. Jaca Book, 2014

Nunzia, napoletana della provincia dalle origini contadine, a ventitré anni è piena di aspirazioni e di ambizioni; sta studiando fisica all’università e già pensa alla propria carriera nel partito in cui milita da sempre, quando è costretta a interrompere bruscamente la maggior parte di queste cose e a rallentarne altre: ha perso molto sangue e i medici non hanno dubbi sulla sua colite ulcerosa… Carlotta si trova a Terzigno insieme al suo amico Antonio (attivista che nel 2007 ha fatto parte del movimento contrario alla realizzazione della discarica), stanno parlando dell’emergenza rifiuti in Campania e di quel curioso fenomeno per cui sembra che l’emergenza sia destinata a durare all’infinito; ma forse è più semplice di quel che sembri - insinua lui - l’emergenza continua ad andare avanti perché c’è qualcuno che ha un interesse preciso a mantenere irrisolti questi problemi… Gigliola ha coronato il suo sogno di portare la sua famiglia - marito, figli, cani - a vivere in campagna prendendo una villetta nella zona del lago Patria. Per principio sarebbe contraria - lei ama rispettare la legge, per quanto dura - a protestare contro l’apertura della discarica di Settecainati, come l’amica la invita a fare. Ma poi viene a sapere che la discarica sorge a ridosso di una scuola elementare; e la verità, pian piano, impone non solo la sua evidenza, ma anche la necessità di intervenire in prima persona...
Il libro - che in quarta di copertina viene definito un atto di narrativa guerrigliera - si apre con una affermazione di Howard Zinn, studioso celebre per la sua controstoria dell’America, scritta a partire dagli “ultimi”: “Protestare al di là della legge non è una deviazione dalla democrazia, bensì qualcosa di assolutamente essenziale a essa”. Dieci storie vere di dieci donne che hanno vissuto e amato il territorio campano e che - di fronte al disastro ecologico dell’“emergenza permanente” dei rifiuti - hanno deciso di usare le maniere forti per tutelare la bellezza dei luoghi e la salute di chi ci vive: perché a mali estremi, estremi rimedi, e a uno Stato che pretende di militarizzare certe aree e certi impianti, impedendo l’accesso ai cittadini, non si può che rispondere con un dissenso fatto di azioni evidenti e decisive. Un libro che si legge d’un fiato e senza la retorica di tanta iconografia: la terra dei fuochi esiste, ma non è vero che è tutta camorra e connivenze. Soprattutto, non è vero che non c’è più niente da fare. Leggere per credere. Con la Prefazione di Erri De Luca.


M. Armiero (a cura di), Teresa e le altre, ed. Jaca Book, 2014.

(«Mangialibri», 12 febbraio 2015)

domenica 8 febbraio 2015

G. Sturloni, Il pianeta tossico, ed. PianoB, 2014

Il bene del pianeta, la salute del pianeta, il futuro del pianeta… sono queste le cose che diciamo quando parliamo della crisi ambientale, a partire dal cambiamento climatico. Ma a cosa ci riferiamo esattamente? Anzi, ancor più precisamente: ce ne frega davvero qualcosa, a noi, di questo pianeta? È chiaro che, quando parliamo del pianeta, stiamo parlando della sorte di noi che ci abitiamo, messa a repentaglio da una molteplicità di fattori di rischio: la temperatura in aumento, appunto, l’avvelenamento crescente di aria, acqua e cibo, bombe a tempo che continuiamo ad accumulare - come le scorie uncleari…
Giancarlo Sturloni, autore di Il pianeta tossico (ed. PianoB), ci mette di fronte all’evidenza (immaginata, ma non immaginaria) di ciò che potrebbe accadere al pianeta - cioè a noi - se insisteremo nel fare finta che il nostro attuale sistema economico e produttivo, tutto sommato, funzioni e possa continuare a farlo. «Il problema del XXI secolo è: o la borsa o il pianeta»: e non perché - egoisti come siamo - ce ne freghi veramente qualcosa di questo pianeta, figuriamoci; ma proprio perché vogliamo salvare la borsa. Sturloni - esperto di comunicazione scientifica e collaboratore della RAI e dell’«Espresso» - ci racconta per immagini e scenari (e dati alla mano) in quale modo atroce potrebbe finire la storia più bella di tutte: quella dell’uomo sulla terra. Avvertendoci che si tratta solo di una sceneggiatura: il film non è stato ancora girato. Sta a noi impedirne le riprese. Il lavoro da fare è tanto, ma alla nostra portata. E forse - dico forse - non è ancora troppo tardi.


G. Sturloni, Il pianeta tossico, ed. PianoB, 2014.

(«Il Caffè», 6 febbraio 2015)

La rivoluzione della coscienza

La morte. È questo l’esito necessario e inesorabile del capitalismo, secondo la battuta che abbiamo sentito tante volte - l’ultima al cinema, in Cosmopolis di David Cronenberg - dove l’eliminazione fisica dell’avversario economico è la naturale prosecuzione degli affari “con altri mezzi”. Il marxismo parla del lavoro vivo accumulato nel capitale morto, e fino ad oggi abbiamo assistito (e continuiamo a farlo) alla morte - per fame, sete, malattie curabili e guerre d’interesse - di intere popolazioni: milioni e milioni di persone, mentre altri miliardi vivono con meno di due dollari il giorno e sono i prossimi candidati a scomparire ad maiorem gloria dei. Ovviamente parliamo del dio denaro. Ma la novità di questi tempi è la morte per l’insostenibilità interna del meccanismo: il capitalismo non regge più il suo stesso peso, perché il pianeta - con le sue risorse, il suo ecosistema, il suo equilibrio interno insomma - non riesce più a stargli dietro. Il capitalismo - con il suo mito della “crescita infinita” - si comporta con la terra come un padre che volesse vedere suo figlio crescere sempre, in continuazione, senza sosta e senza limite. Una mostruosità della quale non sempre riusciamo a renderci conto; ma contro la quale rischiamo di sbattere il muso, se non riusciamo a fermarci per tempo. Perché quando la temperatura complessiva del pianeta sarà aumentata fino all’insopportabile, nessun condizionatore riuscirà a raffreddarlo.
«Con la sua pretesa scientificità, l’economia si sta mangiando la nostra civiltà creando intorno a noi un deserto dal quale nessuno sa come uscire. Meno di tutti gli economisti. Ma il modo c’è, dico io: essendo fallite tutte le rivoluzioni, l’unico modo per non farsi consumare dal consumismo è quello di digiunare, digiunare da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile, digiunare dal comprare il superfluo»: così Tiziano Terzani, giornalista che ha viaggiato per lavoro in tutto il globo e si ispirava a Gandhi, riflette sullo stato delle cose, per spiegare che uscire da questo sistema produttivo impossibile e mortifero possiamo; e dobbiamo. Subito. Gloria Germani, esperta del pensiero di Terzani e autrice di Terzani. Verso la rivoluzione della coscienza (ed. Jaca Book, nella collana “I precursori della decrescita”, diretta da Serge Latouche; libro che contiene tra l’altro un’ottima scelta di testi selezionati del reporter), riprende la sua visione e ne mostra tutta l’ampiezza, fino ad arrivare alla critica dell’individualismo, del materialismo, dello scientismo quali caratteri di una Modernità che ha finito per imboccare una strada sbagliata ed è riluttante ad ammetterlo. Con una conclusione chiara: per cambiare le cose dobbiamo cominciare a credere che sia possibile; in questo senso, qualsiasi rivoluzione politica passa per quella della coscienza personale, per una nuova disposizione a vivere in armonia e semplicità, anziché in competizione perpetua e in mezzo a complicatezze tecnologiche e procedurali di ogni tipo.
Comunque la pensiamo al riguardo, il rischio che abbiamo davanti è quello della morte di tutte le cose. Non sarebbe meglio scegliere la vita?

(«Il Caffè», 6 febbraio 2015)

venerdì 30 gennaio 2015

Elettrosmog

Il cosiddetto “principio di precauzione” è quella norma di buon senso per la quale, prima di fare un utilizzo massiccio e diffuso di una certa cosa, si dovrebbe essere ragionevolmente sicuri che tale utilizzo non sia pericoloso su ampia scala e anche a distanza di molti anni. È il principio grazie al quale gli OGM hanno tanta difficoltà ad entrare in Europa: non sapendo cosa potrebbe succedere alle coltivazioni a distanza di decenni, si preferisce non rischiare.
Questo stesso principio, tuttavia, non è stato utilizzato nel caso delle onde elettromagnetiche, dove si registrano curiose anomalie: a fronte di innumerevoli tecnologie e dispositivi (telefoni cellulari, cordless, wi-fi ecc., dai quali siamo praticamente circondati), esistono ben pochi studi internazionali sulle conseguenze del bombardamento elettromagnetico (denominato “elettrosmog” da coloro che lo ritengono la forma di inquinamento tipica di questo millennio) sull’organismo umano. Nonostante alcuni studi indipendenti mostrino che già irradiazioni pari a 0,06 V/m presentino ricadute sull’uomo, vengono normalmente commercializzati - nella più grande indifferenza normativa e mediatica - dispositivi dalle irradiazioni 1.000 volte superiori.
Si potrebbe continuare, come fanno Ulrich Kurt Dierssen e Stefan Brönnle in Difendersi dall’elettrosmog (ed. Terra nuova), che si spingono oltre queste osservazioni e si domandano quali siano le ripercussioni sull’umore, sulle emozioni, sulla disposizione psicologica dell’uomo nei confronti della realtà. Non è escluso infatti che - proprio come i colori e il tempo meteorologico - anche le onde elettromagnetiche non visibili possano influenzare il nostro modo di essere e di pensare.
La situazione potrebbe essere grave; o non esserlo affatto. È strano dunque che, in questa incertezza, il principio di precauzione non abbia preso il sopravvento. Ancor più strano che, di conseguenza, non si sia sentita l’esigenza di indagare rapidamente e a fondo dal punto di vista scientifico-sanitario. Nel frattempo, sarebbe meglio limitare l’uso di smartphone, tablet e simili all’indispensabile, ricordandoci di utilizzarli a una distanza dal corpo di almeno 20 cm. E provare a informarci, che è sempre il miglior punto di partenza.

(«Il Caffè», 23 gennaio 2015)

domenica 25 gennaio 2015

S. Mambrini, Pasti chiari, ed. Iacobelli, 2014

Iacobelli
«Una vita sana si costruisce con pasti corretti dal punto di vista nutrizionale, moralmente accettabili sotto l'aspetto ecologico e sociale, giusti e non speculativi, gradevoli al gusto e senza contraffazioni che servono solo per imbrogliare il palato. L'approcci ogastronomico è partecipazione, non interesse egoistico. La passione in cucine valorizza la vita, la rende emozionante, aiuta a superare la fatica e fa perfino accettare le sconfitte. Essere bravi nel far da mangiare significa usare l'intuito per azzardare una novità, ma anche saper dosare la prudenza, tenendo gli occhi ben aperti per trovare le giuste conferme. Insomma, è necessario esercitare un'intransigente cautela nei confronti dei pifferai moderni, pur sperimentando soluzioni nuove. Diventa sano cucinare insieme con gli altri. È così che la condivisione delle esperienze arricchisce il pasto e aumenta la bravura di chi cucina. Pasti chiari e... amicizia lunga».
 
La disintossicazione del corpo e della mente dai prodotti di sintesi chimica, gli eccessi alimentari, la manipolazione dell'informazione in campo alimentare: a questi argomenti è dedicata la prima parte del libro Pasti chiari di Sergio Mambrini (ed. Iacobelli). La seconda si concentra invece sui "cibi dimenticati", e sulla scuola di "cucina naturale", con un ampio spazio dedicato alle ricette. Un testo importante per comprendere il problema della malnutrizione moderna... e cominciare a superarlo.
 
Sergio Mambrini, mantovano, ha lavorato alla Montedison, ma in seguito ha abbandonato il mondo della grande industria per dedicarsi ai problemi della salute, dell'agricoltura biologica e dell'ambiente. Attualmente lavora nel suo ristorante dove usa esclusivamente materie prime biologiche. Con Iacobelli ha già pubblicato Fango nero.


S. Mambrini, Pasti chiari, ed. Iacobelli, 2014, pp. 190, euro 14.

(«Pagina3», 25 gennaio 2015)

lunedì 12 gennaio 2015

B. Lopez, Una geografia profonda, ed. Galaad, 2014

Esistono tanti modi di fare geografia. Ci si può rivolgere alla forma delle coste e al profilo dei paesaggi, come si faceva una volta, quando gran parte della terra era sconosciuta e la geografia coincideva quasi del tutto con la cartografia. Oppure si potrebbe essere interessati alla parte interna dei territori, non solo inanimata, alla fauna, alla flora, alla vita che vi si svolge, all’impatto dell’urbanizzazione. A un livello più profondo, a partire dalle tante relazioni che ogni cosa stringe con ogni altra, si può aspirare a conoscere il territorio entrando in “comunione” con esso, arrivando a maturare una forma di saggezza esistenziale che non è più solo un generico rispetto o un calcolo della sostenibilità, ma amore verso quella terra che è madre di tutte le cose…
Barry Lopez, naturalista che ha dedicato tutta la vita alla conoscenza dei luoghi e di tutto ciò che ospitano, raccontandola in parole, scritti, fotografie, presenta qui un’antologia di nove saggi di epoche diverse, seguiti da un’intervista registrata da Davide Sapienza, curatore italiano del volume, che firma anche il saggio conclusivo (mentre quello introduttivo è di Franco Michieli). Raccolta che risente un po’ di certo moralismo tipico della tradizione nordamericana (Emerson e Thoreau) ma che offre uno sguardo sulle cose a un tempo incantato e lucido al quale - ahinoi - non siamo più abituati. Testo interessante per i nostri giorni, in cui il rapporto con l’ambiente va ripensato a fondo in un’ottica maggiormemte olistica e meno predatoria.


B. Lopez, Una geografia profonda, ed. Galaad, 2014.

(«Mangialibri», 12 gennaio 2015)