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mercoledì 1 febbraio 2012

Passaggio d'epoca. Intervista a Pietro Barcellona


Pietro Barcellona, già membro del Consiglio superiore della magistratura e deputato alla Camera, è professore emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Elogio del discorso inutile (Dedalo, 2010); Incontro con Gesù (Marietti, 2010); Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza (Città aperta, 2010); (con F. Ventorino), L’ineludibile questione di Dio (Marietti, 2010); L’oracolo di Delfi e l’isola delle capre (Marietti, 2009); Il furto dell’anima. La narrazione post-umana (Dedalo, 2008). Il suo ultimo volume è Passaggio d’epoca. L’Italia al tempo della crisi (ed. Marietti, 2011), nel quale il professore ritrae il Bel Paese come una canna esposta ai venti della globalizzazione finanziaria, della tecnoscienza priva di limiti, di un marketing sociale che non solo diseduca i giovani ma li manipola. L’abbiamo intervistato.

Ha scritto che l’Italia è diventata “un Paese gelatinoso a causa del deficit di politica”. Che vuol dire?
Voglio dire che assistiamo a uno spappolamento, a una frantumazione ormai incontrollabile della società (è difficile oggi trovare qualcuno che non sia nevrotico o schizofrenico). La società è tenuta insieme da un collante troppo debole; quando dico “gelatinosa” mi riferisco al fatto che l’Italia si riunisce più intorno al Festival di Sanremo che a un ideale comune relativo alla propria cultura, alla propria identità, al proprio ruolo nel mondo. Frantumazione che vediamo oggi con grande evidenza: ci sono rivolte dappertutto, pezzi di società che si combattono tra di loro; verrebbe da parlare di assenza totale di società. Come la gelatina si scioglie al primo caldo, così questo Paese sembra sempre sul punto di sciogliersi in mille rivoli.

mercoledì 22 giugno 2011

Nuova educazione cercasi. Intervista a Pietro Barcellona


Pietro Barcellona, già membro del Consiglio superiore della magistratura e deputato alla Camera, è professore emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Elogio del discorso inutile (Dedalo, 2010); Incontro con Gesù (Marietti, 2010); Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza (Città aperta, 2010); (con F. Ventorino), L’ineludibile questione di Dio (Marietti, 2010); L’oracolo di Delfi e l’isola delle capre (Marietti, 2009); Il furto dell’anima. La narrazione post-umana (Dedalo, 2008). Con l’Altrapagina ha pubblicato: La crisi della democrazia (con G. Chiesa, R. Mancini, A. Papisca); La crisi dell’educazione nell’epoca del neoliberismo (con M. Lodoli, B. Amoroso, A. Chieregatti); Modernità e mercato (con S. George e G. Mattioli).

La moralità è una questione privata o pubblica, cioè politica?
Questo è un problema che si presterebbe alle risposte più disparate. Gli uomini stanno insieme normalmente sulla base di regole condivise, fondamento della coesistenza condivisa demandata a certe istituzioni. D’altro canto, ogni essere umano diviene adulto acquisendo anche una normatività personale, basata sull’esperienza avuta con i genitori, con gli altri, la scuola ecc. Questa normatività non è categorizzata in “politica”, “morale”, “giuridica”, ma è una morale sociale generale. Ovviamente il collettivo umano può dar luogo a forme anche degenerate di normatività, tipicamente quelle in cui un gruppo si arroga il diritto di legiferare per tutti appiattendo le esigenze di tutti sulle proprie. La salute di una collettività umana si misura invece dal grado di allineamento tra la normatività sociale inveterata negli individui e quella codificata dalle istituzioni (e da quanto sia al contempo efficace non solo il rispetto della maggioranza, ma anche la tutela delle tante minoranze). Ma tutte queste considerazioni, per quanto importanti, trovano poco spazio all’interno del dibattito comntemporaneo, basato invece sull’approfondimento delle distinzioni cristallizzate storicamente, come quella ad esempio tra diritto e morale, che è una distinzione storica, non ha il carattere di una “legge di natura” e avrebbe anche potuto non presentarsi affatto in questi termini.

domenica 5 giugno 2011

Il sapere affettivo. Intervista a Pietro Barcellona


Pietro Barcellona, già membro del Consiglio superiore della magistratura e deputato alla Camera, è professore emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Elogio del discorso inutile (Dedalo, 2010); Incontro con Gesù (Marietti, 2010); Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza (Città aperta, 2010); (con F. Ventorino), L’ineludibile questione di Dio (Marietti, 2010); L’oracolo di Delfi e l’isola delle capre (Marietti, 2009); Il furto dell’anima. La narrazione post-umana (Dedalo, 2008). L'abbiamo intervistato a proposito del suo ultimo libro, Il sapere affettivo, edito da Diabasis nella collana Asteroidi (2011).

Il “sapere affettivo”: una nuova forma di sapere, o la riscoperta di qualcosa d’antico?
Come l’inconscio esisteva anche prima che Freud ne parlasse, ma in un certo senso è merito suo l’averlo fatto apparire, denominando qualcosa che non aveva ancora avuto un nome (pur essendo visibile in alcune sue manifestazioni), similmente il sapere è sempre stato affettivo, ma oggi emerge l’urgenza di riscoprirne il valore in contrapposizione alla conoscenza asettica, neutrale, oggettivante e disumanizzante dei saperi contemporanei. Si pensa tipicamente all’affetto come a uno strumento di conoscenza e non come a un oggetto di sapere; il sapere affettivo non è un sapere sugli affetti, ma un sapere che si produce attraverso l’affetto e ha dunque un valore epistemologico. È possibile conoscere attraverso l’amore, in un modo diverso da come si conosce attraverso la ragione.

venerdì 3 dicembre 2010

Se la scienza ti ruba l'anima. Intervista a Pietro Barcellona


Pietro Barcellona, già membro del Consiglio superiore della magistratura e deputato alla Camera, è docente di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. È autore di molti libri, nei quali spesso si confronta con i temi trattati da Raimon Panikkar.

Panikkar ha scritto che il discorso della filosofia non ‘serve’ a niente, perché è libero, non è ‘servo’ di nessuno. Sembra una riflessione vicina a quella che Lei porta avanti nel Suo ultimo libro, Elogio del discorso inutile (ed. Dedalo, 2010).
C’è indubbiamente una grossa affinità, ma più in generale il discorso sulla ‘parola inutile’ serve a sottolineare la differenza profonda che c’è tra il discorso scientifico - che non può che essere utilitaristico, in quanto deve misurare l’efficacia dell’azione che si svolge rispetto a un obiettivo dal risultato che si produce, risultato che dev’essere sempre contabilizzabile, in qualche modo, e descrivibile in termini di