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mercoledì 11 agosto 2010

Tecnofollie: ciò che sarebbe bello evitare (se solo fosse possibile)


>Pare che la falla della Deepwater Horizon sia stata finalmente richiusa (anche se i guai della BP probabilmente non finiscono qui). Tiriamo tutti un sospiro di sollievo. Anche se l’acqua non è ritornata pulita. Siamo contenti perché poteva andare peggio, come si dice in questi casi. O perché il peggio è passato.
Purtroppo questa seconda affermazione dobbiamo lasciarla a mezz’aria, in attesa di tempi migliori: una seconda ondata di petrolio (4 milioni di litri) sta fuoriuscendo da un oledotto riversandosi nel fiume statunitense Kalamazoo, che sfocia nel lago Michigan.
In Cina non se la cavano molto meglio. Nel porto di Dalian due oleodotti sono esplosi il 16 luglio scorso, riversando in mare diverse tonnellate di petrolio, la cui sagoma si estende fino alle acque internazionali (anche qui potremmo - magramente - consolarci: secondo il «National Business Daily» di Shanghai, i depositi di petrolio gestiti dalla Petrochina e dal porto di Dalian erano da tempo considerati a rischio, a causa della scarsa ventilazione e dell’alta quantità di zolfo contenuta nel petrolio importato dall’Arabia Saudita. Chissà, forse si sarebbe potuto evitare, proprio come nel Golfo del Messico).
Quello che ha colpito l’India è invece un incidente bello e buono: la petroliera Chitra si è scontrata sabato 7 agosto con un’altra nave cargo a circa 3 chilometri dalla costa di Mumbai: il carico di carburanti - composto da oltre 1.200 container contenenti sostanze chimiche e oltre 2 mila tonnellate di benzina, gasolio e lubrificanti - si sta riversando in mare alla velocità di 5 tonnellate all’ora. La marea nera si è già estesa per diversi chilometri e ha toccato un villaggio sulla costa.
La Malesia, nel suo piccolo, chiude alcuni impianti in seguito a perdite (la cui entità non è meglio specificata) di petrolio da alcune piattaforme situate a circa 240 chilometri dalla costa.
A ciascuno il suo. Ecco cosa sembra ronzare oggi per la testa di molti esponenti politici dell’area europea (che non ha ancora avuto il proprio disastro petrolifero su ampia scala). Aumenta la preoccupazione: ed ecco che il ministro dell’Ambiente turco, Veysel Eroğlu, comincia a dichiarare che «il trasporto su petroliera attraverso lo Stretto del Bosforo non è più sostenibile» (ricordando come in quelle acque si siano già riversate, negli ultimi 15 anni, circa 115.000 tonnellate di petrolio); ecco che la UE si affretta a richiedere “nuove regole” (come dopo la crisi finanziaria) di sicurezza per le trivellazioni offshore; perfino il nostro ministro dell’ambiente si preoccupa per le trivellazioni in Libia.
Che qualcosa stia cambiando nella nostra “incoscienza collettiva di fronte al rischio” (Jacques Attali)? Due settimane fa il nuovo ad (il vecchio è stato rimosso, seppur al costo di 14 milioni di euro) della British Petroleum, Bob Dudley, ha dichiarato che bisogna «cambiare realmente la cultura della compagnia e assicurarsi che tutti i controlli vengano effettuati per fare in modo che una cosa del genere non si ripeta più». Bastasse questo, caro Bob. Il fatto è che - sembra perfino incredibile doverlo sottolineare, data l’enormità della cosa - gli incidenti possono capitare. Sempre. E non c’è nulla di più efficace contro il pericolo che evitare di fare ciò che è pericoloso. Stiamo affondando i piedi in una cultura tecnologica che ingenera paura e si avvita in una spirale di controlli-su-controlli-su-controlli. Diventeremo sempre più schiavi di un sistema tecnologico ipercomplesso che dovremo per forza tenere di continuo sotto controllo. Questo ci garantisce energia. Ma ci priva della serenità, della spensieratezza e anche del tempo libero. Non è un invito a regredire all’epoca preindustriale, ma uno sprone a non subire le vessazioni della tecnologia per mera inerzia mentale, come se non ci fosse null’altro da fare che assecondarne lo sviluppo. Pensare diversamente si può. Pensare non è rischioso.

(«AgoraVox», 11 agosto 2010)

lunedì 5 luglio 2010

Tecnofollie. Storie di ordinarie scorie


Stando alle dichiarazioni di Tyrone Benton, operaio che lavorava sulla Deepwater Horizon, probabilmente la catastrofe petrolifera del golfo del Messico avrebbe potuto essere evitata (il tutto potrebbe infatti esser stato originato dalla deliberata mancanza di manutenzione a uno dei sistemi di sicurezza, il cosiddetto "blowout preventer", solo perché il rallentamento che tale manutenzione avrebbe comportato sarebbe costato alla BP 500.000 dollari al giorno).A proposito della nostra tragedia di Viareggio (32 morti, 1000 evacuati), causata dall'esplosione di un convoglio contenente GPL, si indaga oggi sulle responsabilità dei dirigenti e sulla negligenza verso la sicurezza.
Perfino nel caso della tragedia-simbolo del disastro nucleare, quello di Chernobyl, si parla di responsabilità dell'uomo (o addirittura di "follia" legata all'elemento umano).
Sono solo tre esempi di un utilizzo inadeguato di una tecnologia di per sé esposta a rischi, aggravati dall'imperizia, dalla stoltezza, dall'avidità dell'uomo. Cui vorrei aggiungere tre esempi di "smaltimento" delle scorie nucleari.
Il primo, più lontano da noi, riguarda le scorie ritrovate sotto allo stadio di Londra: si parla di centinaia di tonnellate di rifiuti radioattivi rinvenuti per un caso fortuito, cioè i lavori intorno allo stadio in occasione delle prossime olimpiadi. Un deposito illegale che potremmo non aver mai scoperto.
In Germania, si sta organizzando l'evacuazione di un deposito di scorie nucleari che avrebbe dovuto durare per l'eternità, e che invece non è durato nemmeno trent'anni: una recente infiltrazione d'acqua ha infatti convinto il governo ad evacuare e a ricollocare i rifiuti altrove, con un costo per lo Stato di circa 3 miliardi di euro (talmente alto da indurre lo stesso governo a parlare dell'introduzione di una "tassa nucleare" per coprire la spesa).
In questo variopinto scenario internazionale, tinteggiato d'illegalità e d'imperizia, non potevamo mancare noi italiani. In una cantina di Castelmauro (CB), di proprità del fisico Quintino De Notariis, recentemente morto a Cuba, sono depositati circa 4.000 fusti di scorie nucleari che adesso lo Stato italiano dovrà mettere da qualche parte. Lo so, sembra una battuta, ma non è così. Pare che alcuni fusti contenenti materiale radioattivo siano addirittura stati bruciati in aperta campagna. Difficile da immaginare, se non fosse per le testimonianze che ne parlano (il caso è stato ampiamente indagato da Milena Gabanelli nel videodocumentario Ecofollie, ed. BUR, 2009, al cui nome è evidentemente ispirato il titolo di questo articolo. Su «Primonumero» c'è al riguardo un dossier con galleria fotografica).
Proviamo a tirare le somme. Da questi fatti apprendiamo qualcosa che, a ben vedere, sapevamo già: cioè che tante di quelle cose che l'uomo avrebbe potuto evitare, ebbene, le ha fatte, ripetute, fino a far diventare globali fenomeni come il surriscaldamento del pianeta, l'inquinamento del suolo, il disboscamento e via discorrendo. Gli uomini sono spesso inaffidabili, incapaci quando non apertamente irresponsabili. Progettare opere dell'ingegno come se tutti i partecipanti fossero delle persone per bene è un grave errore di progettazione. Si ha voglia di minacciare le sanzioni e di invocare la forza della legge: come nel caso dello stadio londinese, arrestare i colpevoli non decontaminerà il territorio circostante. Perché purtroppo assistiamo a due tipi di follia: quella di chi compie atti irresponsabili e criminali, ma anche quella di chi fa finta che la prima non esista (o che sia sufficiente preseguirla a norma di legge) e progetta imprese rischiose senza chiedersi, ad esempio: cosa accadrebbe se una centrale nucleare venisse scelta come bersaglio di un attentato terroristico? Oppure: come potrò impedire che alcuni fusti di materiale radioattivo "spariscano", per venir poi ritrovato dopo qualche anno nella stiva di una nave affondata, magari al largo delle coste di Cetraro, o di quelle della Somalia?
Di fronte a questo scenario non c'è prevenzione che tenga. Purtroppo la storia ci insegna che - nonostante tutte le precauzioni - le catastrofi possono essere scongiurate in un unico solo modo: evitando di mettere in moto il meccanismo che può innescarle. Dobbiamo cominciare a prendere le distanze, con convinzione, da ogni velleità di produzione nucleare, di trivellazione in profondità, di tutto ciò che possa esporci a disastri irreparabili. Citando il motto dell'AIPRI (Associazione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti), "la Terra non ha uscite di emergenza".

(«AgoraVox», 2 luglio 2010)