domenica 8 maggio 2011

L'industria più pericolosa del mondo. Intervista a Massimo Scalia


Massimo Scalia, politico italiano e docente presso l'Università “La Sapienza” di Roma, è uno dei padri dell'ambientalismo scientifico in Italia. Fondatore della Lega per l'Ambiente, ora Legambiente, è stato tra i primi parlamentari delle Liste Verdi eletti negli anni ottanta e primo presidente della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il suo nome è legato alle battaglie contro il nucleare e a favore delle energie rinnovabili. Dopo l'esperienza nei Verdi, è oggi tra i fondatori e i dirigenti nazionali degli Ecologisti Democratici e del Movimento Ecologista.

A volte sentiamo dire che “non possiamo fare a meno del nucleare”. È vero?
Questa è una falsità colossale. Basta guardare i numeri per rendersene conto. Col nucleare si possono fare solo 2 cose: le bombe, oppure l’energia elettrica. L’energia elettrica è soltanto una piccola parte dell’energia complessiva utilizzata dall’uomo: al mondo è soltanto il 17% dell’energia totale. Di questa piccola parte, la quota prodotta tramite il nucleare è a sua volta del 14%. Conclusione: il nucleare fornisce
oggi all’uomo intorno al 2% dell’energia complessiva di cui ha bisogno. E quindi si può tranquillamente affermare che sia superfluo. Sostenere - come ha fatto tra gli altri il prof. Veronesi - che non si possa fare a meno del nucleare, è una sciocchezza, frutto della disinformazione. Chi dice che il nucleare è indispensabile semplicemente non conosce questi numeri. Il nucleare è una fonte energetica residuale, già in declino anche prima della recentissima tragedia di Fukushima.
È vero che l’energia nucleare è economicamente conveniente?
I fautori del nucleare sostengono di sì. Ma in realtà i costi sono talmente tanti e distribuiti in un tempo così ampio che è difficile fare previsioni affidabili. Si pensi tanto per cominciare che nessuna impresa di assicurazioni si assume il rischio della costruzione di un impianto nucleare in assenza della copertura statale: questo la dice già lunga sullo stato della questione. In termini teorici, i calcoli vengono fatti approssimativamente valutando costi presunti non solo per l’installazione, ma anche per lo smantellamento e per il confinamento delle scorie. Poi accade che lo smantellamento non viene fatto mai (al mondo oggi neanche una sola centrale nucleare è stata smantellata definitivamente, N.d.R.). Poi accade che i depositi di scorie si allaghino (come è capitato l’anno scorso ad Asse, in Germania: il costo dello sgombero è stimato intorno ai 3 miliardi di euro, N.d.R.). Poi accade una tragedia come quella giapponese (o come quella americana di Three Miles Island, o come quella ucraina di Chernobyl). Questi costi erano stati preventivati? Certo che no! In termini pratici, si pensi poi all’esperienza americana: in America la liberalizzazione del mercato dell’energia mette chiaramente in risalto la non competitività economica del nucleare (la rivista «Forbes» ne parlava, già nel 1985, come del “più grande fallimento commerciale della storia degli USA”). Il problema è molto semplice: a fronte di investimenti colossali, i profitti emergono dopo vent’anni. Nessuna impresa privata è disposta ad aspettare tempi così lunghi. Ecco perché il nucleare non potrebbe sopravvivere senza gli incentivi dei governi, di destra come di sinistra: ecco che tanto Bush quanto Obama foraggiano il nucleare con stanziamenti miliardari. Il Dipartimento dell’energia americano ha stimato che entro il 2020 l’energia atomica sarà la più cara sul mercato. Se si considera che questa tecnologia ha ormai più di cinquant’anni, si vede bene quanto essa tentenni e sia ormai al tramonto.
Come spiega che illustri uomini di scienza come Margherita Hack e Umberto Veronesi - i quali conoscono bene i rischi intrinseci e i problemi irrisolti di questa tecnologia, come quello delle scorie - si dichiarino a favore dell’energia atomica?
Hack è una grande astrofisica; Veronesi è un illustre oncologo: tanto di cappello ad entrambi. Queste persone sono dei luminari nel loro specifico campo di attività, ma certamente non altrettanto competenti in una materia delicata e complessa come quella nucleare. Prendiamo il caso di Veronesi, quando afferma che il nucleare è indispensabile; ebbene, i dati che ho citato prima (e che non sono miei né di ong - organizzazioni non governative - ambientaliste, ma dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) rivelano che il nucleare copre il 2% del fabbisogno totale. È chiaro che Veronesi non sa di cosa stia parlando. Similmente ha parlato del nucleare come di una fonte di energia che non provoca danni alla salute (in quanto produttrice di “minime quantità di radiazioni”); ebbene, le statistiche internazionali più accreditate rivelano che le radiazioni sono dannose eccome per la salute, e lo sono in maniera proporzionale alla vicinanza alle centrali (con incrementi delle patologie tumorali di 2,2 volte e delle malformazioni nel grembo materno di 1,6 volte - nel raggio di 5 km dalle centrali). Dire - come ha fatto Veronesi - che il nucleare non ha conseguenze sulla salute è a questo punto un atto irresponsabile, da parte di chi riveste oggi il ruolo di Presidente dell’Agenzia Italiana per la Sicurezza nucleare.
Tutti i giorni riceviamo notizia di incidenti più o meno gravi alle centrali nucleari di tutto il mondo. “Sicurezza nucleare” è forse un ossimoro?
Sono molte le ong che hanno censito con acribia gli incidenti nucleari avvenuti anno per anno in tutto il mondo. Purtroppo queste notizie arrivano al grande pubblico solo quando ci scappa il morto o avviene una pesante contaminazione radioattiva. C’è un anno importante da ricordare al riguardo: nel 1985 l’AIEA fissò come valore della probabilità di fusione del nocciolo un intervallo tra 10-5 e 10-6 (ovvero 1 probabilità su un intervallo tra 100.000 e 1 milione) per centrale/anno (in altri termini, si stimava l’accadere di un incidente grave ogni 100 anni, considerando 1.000 centrali in funzione nel mondo). La realtà che conosciamo è diversa: viste le tragedie di Chernobyl, Three Miles Island e Fukushima, considerando che le centrali in funzione nel mondo sono meno di 1.000 e che il nucleare funziona da meno di 100 anni... si ottiene una stima molto molto superiore a quella dei nuclearisti. L’ordine di grandezza è tra 10-3 e 10-4. Noi rischiamo (e subiamo) un incidente di ordine gravissimo (con fusione del nocciolo) una volta ogni dieci anni circa.
Dopo gli incidenti di Fukushima si va a caccia dell’“errore umano”, quasi a dimostrare che “si sarebbe potuto evitare” e che la tecnologia nucleare è sicura.
Ma gli uomini che lavorano negli impianti nucleari fanno parte degli impianti, ne condizionano il funzionamento, anche in maniera determinante. Il cosiddetto “fattore umano” dev’essere computato tra i fattori di rischio al pari di tutti gli altri. Non esiste nucleare senza l’uomo. La pericolosità intrinseca di questa tecnologia comprende anche questo elemento. Gli impianti nucleari sono realizzazione ingegneristiche composte da innumerevoli sottosistemi ed infinite componenti. In questa situazione è impossibile implementare dei sistemi di sicurezza deterministici e bisogna necessariamente ricorrere - come del resto si fa nell’aeronautica, dalla quale il nucleare eredita molte caratteristiche - a sistemi di prevenzione del rischio di tipo probabilistico.
Una descrizione piuttosto inquietante.
Purtroppo è la realtà. La realtà dell’industria nucleare, la più pericolosa del mondo, che purtroppo non è ancora riuscita a raggiungere l’obiettivo che da tanti anni va sbandierando: quello della cosiddetta “sicurezza intrinseca”, per la quale in caso di guasto l’impianto si spegnerebbe da solo senza conseguenze. Che non sia così lo certifica l’episodio di Fukushima.
Ma questa sicurezza intrinseca è un obiettivo teoricamente irraggiungibile?
In linea di principio no, ma di fatto non esiste nessun progetto in tal senso. Il problema è interno al tipo di tecnologia e di combustibile attualmente utilizzati. A titolo di esempio, si pensi al motore a scoppio: si può perfezionarlo quanto si vuole, ma rimarrà un motore a scoppio, con tutti i suoi limiti propri. Se si vuol evitare il rischio di questo tipo di tecnologia, semplicemente bisogna cambiare tecnologia. Si potrebbe pensare a utilizzare - invece dell’uranio e del plutonio - il torio, che produce scorie in quantità minore, e dai tempi di decadimento più gestibili: ci ha lavorato pionieristicamente Rubbia, ma il progetto si è arenato.
Il Presidente di FareAmbiente, Vincenzo Pepe, ha detto che le centrali nucleari di terza generazione “prevedono anche l’imprevedibile”. Cosa ne pensa?
Sulla scorta di quello che le dicevo appena, non è possibile affermare una cosa del genere.
Il nucleare appare insomma un azzardo da diversi punti di vista. È un rischio che ci possiamo permettere?
Si tratta di una tecnologia vetusta che in tanti anni non ha saputo rinnovarsi al punto da essere né più economica né più sicura. Si tratta di un’energia già oggi residuale (parliamo, come dicevamo prima, del 2% dell’energia complessiva utilizzata dall’uomo), della quale già all’inizio di questo secolo si evidenziava il declino. Dopo Fukushima credo che presa di consapevolezza sui limiti e sui rischi sia generale. Tra poco il nucleare sarà un capitolo definitivamente chiuso.
Che futuro ipotizziamo per l’Italia, con un governo che la pensa esattamente al contrario?
Spero che la lezione giapponese spinga il governo a fare un passo indietro, in direzione del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Unica vera alternativa alla catastrofe ecologica e tecnologica.
(«l'Altrapagina», aprile 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano