Questo stesso principio, tuttavia, non è stato utilizzato nel caso delle onde elettromagnetiche, dove si registrano curiose anomalie: a fronte di innumerevoli tecnologie e dispositivi (telefoni cellulari, cordless, wi-fi ecc., dai quali siamo praticamente circondati), esistono ben pochi studi internazionali sulle conseguenze del bombardamento elettromagnetico (denominato “elettrosmog” da coloro che lo ritengono la forma di inquinamento tipica di questo millennio) sull’organismo umano. Nonostante alcuni studi indipendenti mostrino che già irradiazioni pari a 0,06 V/m presentino ricadute sull’uomo, vengono normalmente commercializzati - nella più grande indifferenza normativa e mediatica - dispositivi dalle irradiazioni 1.000 volte superiori.
Si potrebbe continuare, come fanno Ulrich Kurt Dierssen e Stefan Brönnle in Difendersi dall’elettrosmog (ed. Terra nuova), che si spingono oltre queste osservazioni e si domandano quali siano le ripercussioni sull’umore, sulle emozioni, sulla disposizione psicologica dell’uomo nei confronti della realtà. Non è escluso infatti che - proprio come i colori e il tempo meteorologico - anche le onde elettromagnetiche non visibili possano influenzare il nostro modo di essere e di pensare.
La situazione potrebbe essere grave; o non esserlo affatto. È strano dunque che, in questa incertezza, il principio di precauzione non abbia preso il sopravvento. Ancor più strano che, di conseguenza, non si sia sentita l’esigenza di indagare rapidamente e a fondo dal punto di vista scientifico-sanitario. Nel frattempo, sarebbe meglio limitare l’uso di smartphone, tablet e simili all’indispensabile, ricordandoci di utilizzarli a una distanza dal corpo di almeno 20 cm. E provare a informarci, che è sempre il miglior punto di partenza.
(«Il Caffè», 23 gennaio 2015)
