domenica 8 febbraio 2015

G. Sturloni, Il pianeta tossico, ed. PianoB, 2014

Il bene del pianeta, la salute del pianeta, il futuro del pianeta… sono queste le cose che diciamo quando parliamo della crisi ambientale, a partire dal cambiamento climatico. Ma a cosa ci riferiamo esattamente? Anzi, ancor più precisamente: ce ne frega davvero qualcosa, a noi, di questo pianeta? È chiaro che, quando parliamo del pianeta, stiamo parlando della sorte di noi che ci abitiamo, messa a repentaglio da una molteplicità di fattori di rischio: la temperatura in aumento, appunto, l’avvelenamento crescente di aria, acqua e cibo, bombe a tempo che continuiamo ad accumulare - come le scorie uncleari…
Giancarlo Sturloni, autore di Il pianeta tossico (ed. PianoB), ci mette di fronte all’evidenza (immaginata, ma non immaginaria) di ciò che potrebbe accadere al pianeta - cioè a noi - se insisteremo nel fare finta che il nostro attuale sistema economico e produttivo, tutto sommato, funzioni e possa continuare a farlo. «Il problema del XXI secolo è: o la borsa o il pianeta»: e non perché - egoisti come siamo - ce ne freghi veramente qualcosa di questo pianeta, figuriamoci; ma proprio perché vogliamo salvare la borsa. Sturloni - esperto di comunicazione scientifica e collaboratore della RAI e dell’«Espresso» - ci racconta per immagini e scenari (e dati alla mano) in quale modo atroce potrebbe finire la storia più bella di tutte: quella dell’uomo sulla terra. Avvertendoci che si tratta solo di una sceneggiatura: il film non è stato ancora girato. Sta a noi impedirne le riprese. Il lavoro da fare è tanto, ma alla nostra portata. E forse - dico forse - non è ancora troppo tardi.


G. Sturloni, Il pianeta tossico, ed. PianoB, 2014.

(«Il Caffè», 6 febbraio 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano