Ancora una volta Riozzo, paesino del lombardo che già in altre opere di Prinelli ne ha viste di tutti i colori, è teatro delle marachelle, delle infedeltà, delle ambizioni e delle peripezie dei villici che in ogni modo, quasi sempre maldestro, cercano di dare una sterzata alla propria vita. E cosa c’è di meglio dell’oro per cambiare status sociale e cominciare a fare la vita dei signori? Soprattutto se l’occasione è a portata di mano: pare che la statua di san Giorgio, dimenticata in qualche angolo della sacrestia, sia cava e che qualcuno - a suo tempo, forse per un voto - l’abbia riempita d’oro. O era la statua di san Rocco? O, ancora, quella di san Demetrio?
Fatto sta che a Riozzo cominciano a fioccare i miracoli: perfino il vescovo - accorso a tastare con mano, non volendo giustamente dar credito alle dicerie - l’ha annunciato. Dicono che un muto dalla nascita abbia acquistato improvvisamente la parola (ma non tutte quelle che servirebbero a rivelare i nomi dei furfanti che ha visto trescare la notte prima, già pronti a bastonarlo se li smaschererà).
Un’altra novella d’ambientazione ottocentesca che conferma un Prinelli in gran forma, in equilibrio perfetto tra il giallo e il comico, dove l’intreccio si lega alla pantomima ed anche sulle sventure più cocenti fa ridere e sorridere di gusto.
G. Prinelli, L’oro di san Giorgio ovvero di come la ricchezza renda (in)felici, 2014.
(«Pagina3», 21 maggio 2014)
