Uhuru vive a Napoli. Ma non è nato lì: vi è arrivato in fuga dalla guerra, attraverso l’Africa e poi finalmente in Sicilia, in Calabria e adesso nel capoluogo della Campania, al rione Sanità, dove spera nell’aiuto che - così gli hanno detto - potranno dargli i volontari del centro “La Tenda”: un pasto, un cambio di biancheria, semplicemente. Intanto, mentre siede su una panchina, viene avvicinato da tre bambini che gli parlano in una strana lingua a metà fra il dialetto e l’italiano, che lui comprende a fatica, solo in parte. Sono incuriositi dal disegno che sta mettendo giù e si capisce subito che vogliono fare amicizia. Non è difficile: loro sono di cuore buono, e lui gli è subito simpatico. Tuttavia il problema qui non è l’amicizia; ma proprio, banalmente, quello di farsi capire. A partire dal nome: hai voglia a dirgli che Uhuru significa “uomo libero” e che è così che si chiamava il primo satellite dedicato all’osservazione spaziale dei raggi X. Riesce a malapena a fargli capire che ha una “missione”: anche se non si tratta di una missione stellare - lui non è veramente un astronauta - ma di qualcosa di più “terreno”: smetterla di girovagare per l’Italia in attesa di un futuro sempre più improbabile e raggiungere la Svizzera, in cerca di un lavoro e della possibilità di sistemarsi...
Cristina Zagaria - giornalista e scrittrice napoletana, collaboratrice di “Repubblica” e autrice di libri per editori come Sperling&Kupfer, oltre che per ragazzi per il “Battello a vapore” - scrive un romanzo che si basa sulla sua esperienza di volontariato presso varie onlus che si occupano di giovani, e parte dalla domanda: “Cosa accadrebbe se l’aviatore del Piccolo principe, invece che nel deserto, atterrasse a Napoli, nel rione Sanità?” Lodevole, senza meno, l’intento di mettere al lavoro in gruppo ragazzi e ragazzini con la finalità culturale di leggere, disegnare e dar vita a storie che hanno poi contribuito a formare questo libro, dedicato peraltro a uno di loro, Genny Cesarano, diciassettenne ucciso per sbaglio dalla camorra nel corso di un raid, qualche anno fa. Tuttavia, proprio per l’intento squisitamente culturale ancor prima che estetico, non convince il modo in cui viene trattata nella trascrizione la lingua dei personaggi: a dispetto infatti di quanto denunciato dall’autrice nella sua nota finale, a proposito delle “vere e proprie lezioni di napoletano” prese durante la stesura, il dialetto è talmente storpiato da risultare a volte incomprensibile perfino a un madrelingua come chi scrive qui. Al di là di ciò, il risultato è comunque interessante anche quando non appassionante, e i bambini ritratti rimangono, di fatto, stampati nel cuore.
Cristina Zagaria, I piccoli principi del rione Sanità, ed. Il battello a vapore, 2017.
(«Mangialibri», 27 febbraio 2018)
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