Qualunque società si trova, in ogni momento fin dalla sua fondazione, di fronte al dilemma: quanta libertà personale si deve sopprimere, per poter garantire la sicurezza? La legge risponde a questa esigenza di compromesso: e impone divieti e obblighi individuali affinché tutte le altre libertà siano tutelate. Ma la legge più efficace, si sa, è quella inscritta nel cuore dell’uomo: e nessuna regola è più cogente del biasimo verso se stesso che ciascuno di noi prova quando commette un’azione che ritiene riprovevole. Di fatto, noi non ci sbraniamo reciprocamente non perché temiamo la galera (cioè, sì: ma in misura minima); il vero motivo è che non ci riusciremmo nemmeno se ci determinassimo a farlo, perché si tratta per noi di qualcosa di troppo lontano non solo da ogni moralità accettabile, ma da quello che più intimamente siamo. E una società è tanto più matura quanto più riesce a educare i suoi membri a questo tipo di sensibilità, anziché scrivere codici su codici di norme che si rispetta malvolentieri. Tuttavia, in certi casi, riusciamo a violare perfino queste norme tanto radicate in noi; e, ciò che è più grave e sorprendente, non avviene solo in situazioni-limite - come il nazismo, o gli odierni teatri di guerra etnica - ma avviene (o può avvenire) tutti i giorni a ognuno di noi, tramite meccanismi psicologici di rimozione dell’autocensura che andrebbero indagati ben a fondo...
Albert Bandura, considerato il più eminente psicologo contemporaneo per le sue ricerche nell’ambito della teoria sociale cognitiva che hanno influenzato intellettuali tutt’affatto diversi, dall’accademia alla politica, consegna uno studio ponderoso - oltre 600 pagine corredate da una bibliografia sconfinata - che svela uno dei misteri più inquietanti e profondi di sempre: com’è possibile che uomini dalle ferree regole morali - ancorati a esse in maniera tale che non potrebbero fare a meno di rispettarle, anche a costo della loro vita - possano comportarsi in certe circostanze in maniera completamente opposta, come se per un attimo quelle regole non esistessero o, meglio, come se non vi ricorressero le condizioni per applicarle? Ciò può avvenire in situazioni eccezionali, certo (dove sembra, di fronte a tragedie di proporzioni immani, che le cose siano molto diverse da quelle solite), ma anche in casi del tutto ordinari, dove semplicemente si considerano i destinatari dell’azione morale come indegni della stessa (meno che umani: accadde ai nazisti, come si diceva, e accade a coloro che gridano ai rimpatri forzati e discriminano i diversi, oggi come allora: eppure si autodefiniscono cristiani, proprio come quei tedeschi). Un libro che andrebbe letto, studiato, meditato più volte: perché non c’è teoria morale che regga - né filosofica, né teologica - se non si è prima in grado di spiegare come mai l’uomo, di fronte a ogni etica, anche la migliore, non perda occasione di violarla, senza sentirsi in colpa. Ottima la traduzione italiana di Riccardo Mazzeo.
Albert Bandura, Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene, ed. Erickson, 2017.
(«Mangialibri», 19 febbraio 2018; «l'Altrapagina», febbraio 2018)
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