Albert Bandura, considerato il più eminente psicologo contemporaneo per le sue ricerche nell’ambito della teoria sociale cognitiva che hanno influenzato intellettuali tutt’affatto diversi, dall’accademia alla politica, consegna uno studio ponderoso - oltre 600 pagine corredate da una bibliografia sconfinata - che svela uno dei misteri più inquietanti e profondi di sempre: com’è possibile che uomini dalle ferree regole morali - ancorati a esse in maniera tale che non potrebbero fare a meno di rispettarle, anche a costo della loro vita - possano comportarsi in certe circostanze in maniera completamente opposta, come se per un attimo quelle regole non esistessero o, meglio, come se non vi ricorressero le condizioni per applicarle? Ciò può avvenire in situazioni eccezionali, certo (dove sembra, di fronte a tragedie di proporzioni immani, che le cose siano molto diverse da quelle solite), ma anche in casi del tutto ordinari, dove semplicemente si considerano i destinatari dell’azione morale come indegni della stessa (meno che umani: accadde ai nazisti, come si diceva, e accade a coloro che gridano ai rimpatri forzati e discriminano i diversi, oggi come allora: eppure si autodefiniscono cristiani, proprio come quei tedeschi). Un libro che andrebbe letto, studiato, meditato più volte: perché non c’è teoria morale che regga - né filosofica, né teologica - se non si è prima in grado di spiegare come mai l’uomo, di fronte a ogni etica, anche la migliore, non perda occasione di violarla, senza sentirsi in colpa. Ottima la traduzione italiana di Riccardo Mazzeo.
Albert Bandura, Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene, ed. Erickson, 2017.
(«Mangialibri», 19 febbraio 2018; «l'Altrapagina», febbraio 2018)
