
Racconto in prima persona da parte del dottor Haggard - qui, come in Grottesco http://www.mangialibri.com/libri/grottesco, la condizione di invalido del narratore dipende da un evento interno alla storia, che il lettore viene a conoscere solo nella seconda metà - medico interamente concentrato su se stesso, sul suo male e sulla sua visione a senso unico delle cose; nella quale non c’è posto per i pensieri, le aspirazioni, i sentimenti degli altri, fino al punto di negarne ogni evidenza. Tanto da voler vedere per forza in quel James di cui si sente ingiustamente il padre, una patologia inesistente di cui il giovane nega ogni sintomo, che ha l’unico scopo di inverare ai suoi stessi occhi la sua più grande ossessione: quella della sua amante che - reincarnatasi in qualche modo e in qualche misura in quel figlio - viene a offrirgli una seconda possibilità di fare le cose per il meglio e, forse, ricevere un’assoluzione per quelle irrimediabilmente fallite. È questa la vera morbosità di un testo - altro che il “morbo” che il protagonista vorrebbe a tutti i costi vedere nel fisico del ragazzo. Tratto caratteristico di tutta l’opera dell’autore, che in altri casi ha attratto l’attenzione di un regista come Cronenberg (come in Spider, poi diventato un film). Probabilmente non il migliore romanzo di McGrath, il quale tuttavia conferma il suo geniale talento nel riuscire a sviluppare storie dense e appassionanti praticamente dal nulla.
Patrick McGrath, Il morbo di Haggard, ed. Adelphi, 1999.
(«Mangialibri», 30 ottobre 2017)
