
L’apocalisse, la fine dei tempi, la fine del mondo: è un evergreen che dall’antichità classica giunge ai giorni nostri con tutto il suo smalto perfettamente intatto, dopo aver esplorato un’infinità di forme e di generi (dagli zombi di Romero a quelli di Matheson, dai nuovi inquilini della saga delle scimmie alle rape del folgorante “La razza dominante” di Fredric Brown; dalle ecatombi siderali à la Armageddon del ’98 a quelle di matrice più antropica come La strada di McCarthy - un excursus dell’immaginario apocalittico e dei suoi fondamenti è già stato esaminato qui). Ma qui, per la prima volta dopo oltre cinquant’anni (da quando, all’epoca della crisi dei missili, si temeva una catastrofe nucleare - timore che quasi fece impazzire Philip Dick, non a caso abbondantemente citato nella trilingue bibliografia finale), siamo di nuovo di fronte a un terrore che non è più soltanto (o in sostanza) immaginario, ma concreto, tangibile e - alla lunga - inevitabile. L’ecocataclisma è un futuro che possiamo realmente prevedere, e prevenire. Quella della fine non è più una paura, insomma, ma una vera e propria eventualità. Attraverso l’esame delle fonti e degli studi di settore - fisici, filosofici, sociologici - Déborah Danowski ed Eduardo Viveiros del Castro delineano il quadro attuale di una condizione che mai come in questo caso sarebbe opportuno definire “umana”, per quanto è immediatamente vicina a tutti noi. Un libro non solo per riflettere. Ma per agire.
Déborah Danowski, Eduardo Viveiros del Castro, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, ed. Nottetempo, 2017.
(«Mangialibri», 23 giugno 2017)
