Follia è un capolavoro: meglio dirlo subito, senza mezzi termini. Uno di quei libri destinati a restare, per diversi motivi. Per la naturalezza – e si vorrebbe quasi dire: la grazia – con la quale tutto cresce gradualmente, senza scossoni eppure in maniera incessante e inesorabile. Per il finale maestoso, per nulla prevedibile (anche se in rete è facile trovare lettori che sostengono il contrario: il che sembra palesemente impossibile, data la quantità di arrovellamento che il romanzo induce nel lettore, fatto dopo fatto, scena dopo scena). Ma soprattutto per la capacità di McGrath – e qui non si tema di dire che si tratta di una qualità ben difficile da ritrovare in un autore moderno – di generare pathos e suspense praticamente dal nulla, senza fatti eclatanti, senza deus ex machina, senza colpi di scena artificiali: laddove Chandler invitava lo scrittore a corto di ispirazione a far comparire sulla scena una pistola, “ché tutto comincerà ad animarsi automaticamente”, l’autore mostra con questo libro di non averne bisogno. Inutile dire che la follia pervade tutta la narrazione e investe tutti i personaggi (dalla moglie del dottore, vittima dell’ossessione, alla voce narrante), e costringe anche il lettore a guardare la propria, dietro l’angolo: non è un caso che un regista come Cronenberg – studioso della deformabilità dell’io, tanto fisica quanto psichica – si sia ispirato a McGrath per il suo Spider. Qualunque sia il vostro gusto letterario, questo è un libro da leggere assolutamente. Non farlo sarebbe una follia.
P. McGrath, Follia, ed. Adelphi, 1998.
(«Mangialibri», 29 settembre 2016)
