giovedì 29 settembre 2016

P. McGrath, Follia, ed. Adelphi, 1998

Edgar Stark è un artista. Uno scultore. E ha ucciso sua moglie in un raptus psicotico violentissimo: per questo non si trova in prigione ma in manicomio, in una zona fuori città dell’Inghilterra di cinquant’anni fa. La sua è una strana condizione: lucido e “normale” sotto ogni altro profilo, quando si tratta di sua moglie – e della sua fine – comincia a sragionare, e a negare l’evidenza, ostinandosi a sostenere che l’assassinio sia stato una necessità, di fronte a una situazione insostenibile: una presunta infedeltà che non avrebbe potuto che peggiorare. Il dottor Cleave, che lo cura da anni, assiste al decorso della malattia come da manuale; fino a quando comincia a notare che Stella, moglie del dottor Raphael, si comporta in modo strano e che lei e quell’uomo hanno intrapreso (di nascosto, credono loro) una relazione che non solo è al di fuori delle convenienze sociali e di ogni più elementare regola deontologica, ma anche e soprattutto è mortalmente pericolosa: perché Stark ha già ucciso e potrebbe tornare a farlo, non essendo ancora guarito. Ciò di cui lui probabilmente non riesce a essere consapevole, ma che Stella – peraltro moglie di uno psichiatra, che conosce molti dettagli del caso – dovrebbe essere ben avvertita...
Follia è un capolavoro: meglio dirlo subito, senza mezzi termini. Uno di quei libri destinati a restare, per diversi motivi. Per la naturalezza – e si vorrebbe quasi dire: la grazia – con la quale tutto cresce gradualmente, senza scossoni eppure in maniera incessante e inesorabile. Per il finale maestoso, per nulla prevedibile (anche se in rete è facile trovare lettori che sostengono il contrario: il che sembra palesemente impossibile, data la quantità di arrovellamento che il romanzo induce nel lettore, fatto dopo fatto, scena dopo scena). Ma soprattutto per la capacità di McGrath – e qui non si tema di dire che si tratta di una qualità ben difficile da ritrovare in un autore moderno – di generare pathos e suspense praticamente dal nulla, senza fatti eclatanti, senza deus ex machina, senza colpi di scena artificiali: laddove Chandler invitava lo scrittore a corto di ispirazione a far comparire sulla scena una pistola, “ché tutto comincerà ad animarsi automaticamente”, l’autore mostra con questo libro di non averne bisogno. Inutile dire che la follia pervade tutta la narrazione e investe tutti i personaggi (dalla moglie del dottore, vittima dell’ossessione, alla voce narrante), e costringe anche il lettore a guardare la propria, dietro l’angolo: non è un caso che un regista come Cronenberg – studioso della deformabilità dell’io, tanto fisica quanto psichica – si sia ispirato a McGrath per il suo Spider. Qualunque sia il vostro gusto letterario, questo è un libro da leggere assolutamente. Non farlo sarebbe una follia.


P. McGrath, Follia, ed. Adelphi, 1998.

(«Mangialibri», 29 settembre 2016)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano