lunedì 26 settembre 2016
E. De Agostini, Un prosciutto e dieci ducati, ed. IoScrittore, 2016
A Circello, don Giovanni è una celebrità: avrebbe già i propri affari a cui badare, ma ciò che più lo assorbe è la gestione dei possedimenti di don Nicolò di Somma, principe del Colle, marchese di Circello e signore della Terra di Reino. Siamo nella primavera del 1798, e queste cose non si possono fare comodamente da casa, o per procura: occorre essere ben presenti e vigili. Di conseguenza, quell’enorme livido, sorto praticamente dal nulla, che lo ha messo a letto da giorni, ha gettato don Giovanni nella disperazione; ancor più quando l’ultimo medico che lo ha visitato, don Pasquale Verdura di Fragneto, amico stimato di vecchissima data, è stato chiaro al riguardo: ventiquattro ore di tempo, e se la cosa - che ormai si è estesa all’intera gamba - non passa da sola, toccherà amputare. Dopodiché ha lasciato il malato al suo capezzale e se ne è tornato a casa, lasciando chiaramente intendere che non c’è proprio nient’altro da fare che affidarsi alla Madonna. Un momento: don Giovanni non ci aveva ancora pensato, ma poiché lui è sempre stato un uomo di fede; poiché la cappella è vicina alla stanza da letto; e poiché non vi sono alternative… si risolve a mettersi a pregare. Dopodiché, nel giro di poche ore, l’estensione delle macchie si riduce gradualmente, fino a che lui ritorna agile esattamente come prima. Un miracolo, non c’è dubbio. Per qualcuno, semplicemente un fatto inspiegabile dalla medicina. Per altri, invece, la cosa è molto più chiara di quanto sembri: “quello don Giovanni è un diavolo…”
Enrico de Agostini, romano classe ’64 e diplomatico di carriera da oltre vent’anni, attinge all’archivio di famiglia per raccontare - sulla base di fatti realmente accaduti, e raccolti nella testimonianza orale dello stesso don Giovanni - la storia di un uomo cui è affidato un compito intrinsecamente difficile - gestire l’enorme patrimonio del signore locale, con perizia ed equilibrio, sapendone meritare giorno dopo giorno la stima e la fiducia - ma che è reso enormemente più complicato, fino a diventare praticamente impossibile, in un contesto invidioso e becero come quello di un paesino come Circello, che per sovrappiù sta per subire la più grossa delle trasformazioni: l’impatto con l’arrivo della rivoluzione francese, che come ogni cosa nuova affascina, mal celando la sua carica eversiva. Vera protagonista del romanzo è infatti, più dello stesso don Giovanni che pur suscita simpatia, con la sua tracimante buona volontà, sovente frustrata, la società napoletana, nella quale coesistono, contraddittoriamente, ma senza conflitto apparente, l’amministrazione della giustizia e il brigantaggio, la necessità del mantenimento di un ordine costituito e il suo aperto disprezzo. Un romanzo che parla anche - pur con qualche refuso, e pur nella sua ricostruzione storica e filologica fedele, come rimarca nella prefazione Francesco Barra, ordinario di Storia moderna all’Università di Salerno - ai nostri tempi schiacciati dal qualunquismo e dal divorante desiderio di avere e di apparire senza aver fatto nulla per meritarlo.
E. De Agostini, Un prosciutto e dieci ducati, ed. IoScrittore, 2016.
(«Mangialibri», 26 settembre)
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