Che cos’è la mente? Un mero prodotto del cervello, una specie di secrezione neurale, magari semplicemente un nome come un altro da dare all’attività cerebrale… o qualcosa di completamente distinto dalla materia grigia, di eterogeneo fino all’immateriale, forse addirittura in grado di sopravvivere in una dimensione “spirituale” anche dopo la morte del corpo? La storia del pensiero si è arrovellata su questa domanda, a tutt’oggi priva di una risposta definitiva (o, per meglio dire, “soddisfacente”); i recenti sviluppi delle neuroscienze, tuttavia, e delle discipline che con esse lavorano alla comprensione di quell’“oggetto impossibile” che è l’essere umano, sembrano indicare una promettente strada d’indagine e addirittura legittime speranze: mente e cervello sono distinti, ma non separati (né separabili); e convivono nell’uomo, influenzandosi a vicenda… Già, a vicenda. È forse questa la cosa più stupefacente, per la nostra comprensione moderna deviata da una concezione materialistica e riduzionistica della realtà: immaginare che non solo il cervello possa agire sulla mente, modificandola; ma che anche la mente - il pensiero, se si preferisce - sia in grado di agire sul cervello, modificandolo a sua volta…
Strano, inconcepibile, assurdo? Lo smarrimento istintivo che afferra immediato il lettore, davanti a una proposta che può far pensare alla parapsicologia o alla pseudoscienza (niente di più sbagliato: siamo invece di fronte a studi scientifici che si avvalgono di un metodo specifico e vengono condotti al centro dell’attenzione internazionale degli studiosi), è comprensibile. Ma è soltanto l’ovvia reazione a una novità destabilizzante. Che tuttavia comincia a non essere più tanto nuova o inedita; se l’epistemologia contemporanea - in prima linea quella di Raimon Panikkar - ha mostrato le condizioni di possibilità di una relazione tra pensiero e materia, sul piano ontologico, è banale osservare che la verifica di questa stessa ipotesi è alla portata di mano di chiunque: basta recarsi nella prima corsia d’ospedale per accorgersi che i medici incoraggiano i pazienti a tenere alto il proprio umore, perché questo contribuisce significativamente al processo della guarigione. Gli stessi medici che sperimentano (e utilizzano con grande successo) l’efficacia del placebo (o, se si preferisce, dell’autosuggestione) sul benessere dell’organismo fisico. Con puntualità da scienziato e chiarezza da divulgatore, Michel Le Van Quyen - dirigente medico parigino e studioso di neurofenomenologia allievo di Francisco Varela - offre uno studio importante dal punto di vista del metodo almeno quanto da quello dei risultati: perché mostra l’irrinunciabilità di un approccio interdisciplinare a problemi di questo livello di complessità. Volume pubblicato con il contributo del Ministero della Cultura francese - Centre National du Livre.
Michel Le Van Quyen, Il potere della mente, ed. Dedalo, 2016.
(«Mangialibri», 21 giugno 2015)
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