In particolare, della sua capacità di coniugare - sulla scia dell’insegnamento del grande filosofo e pedagogo francese - l’uso della ragione con la conoscenza salutare ed effettiva della tradizione, che non è una specie di zavorra di cui liberarsi, né qualcosa di cui fare tabula rasa (concetto abusato e forse mai esplorato abbastanza nelle sue conseguenze ultime, né nei suoi presupposti), ma una necessaria, invalicabile collocazione di quella ragione all’interno di un tempo che le è proprio e che le dà consistenza e presa sulla realtà. Quello di Madame de Staël è uno stile - ben reso nella traduzione di Andrea Inzerillo - che riesce a scendere nel dettaglio della speculazione filosofica senza perdersi in astrusità o in tecnicismi: di particolare suggestione è il secondo saggio, talmente “carnale” da sembrare più che romanzesco: il lettore si sente chiamato in causa direttamente nella riflessione, sente di non poter eludere, lui per primo, la domanda fondamentale: perché dovremmo continuare a vivere? Un discorso (anzi due; o, meglio, tre) che val la pena continuare a portare avanti.
Madame de Staël, Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau-Riflessioni sul suicidio, ed. Bibliosofica, 2016, pp. 170, euro 12. A cura e con introduzione di Livio Ghersi.
(«Filosofia e nuovi sentieri», 18 maggio 2016)
