D’Arco è un poliziotto. Morto. Ma, come si dice: se sei stato poliziotto, lo rimani per sempre. E infatti lui… fa questo mestiere nella città dei morti: sovraffollata e mal messa come quella in cui ha vissuto “prima”. E con lo stesso bisogno di chi indaghi, nel tentativo di fermare il crimine, almeno un po’. Ma questa volta è diverso: dalla città dei vivi hanno chiesto il suo aiuto, approfittando della conoscenza che ha dei morti (e di chi li ha resi tali). Ed è peggio: stavolta le vittime non sono semplici malcapitati, ma dei bambini. Non resta che attraversare la via di comunicazione tra i due mondi, e mettersi all’opera...
Un Moresco in versione postapocalittico-hardboiled, che non deluderà il suo pubblico di sempre - che gusterà l’atmosfera cupa fino al tetro e ricchissima di dettagli e sfumature - ma che potrebbe scolorire di fronte alle aspettative del pubblico di genere, abituato a un ritmo più sostenuto e già avvezzo a certi espedienti narrativi (come il bambino muto che scrive per terra con grafia tremolante). L’addio, concepito dall’autore come ultimo saluto a un pubblico che non è riuscito ad abbandonare, come previsto, alla fine de Gli increati. Dimostrazione che, anche se è vero che «essere scrittore non è uno status», non può che esprimersi tramite la propria scrittura.
A. Moresco, L’addio, ed. Giunti, 2016.
(«Pagina3», 18 maggio 2016)
mercoledì 18 maggio 2016
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