La tendenza a gustare l’ordine delle cose, il loro senso rintracciabile tramite il fluire compatto e regolare, da un lato; dall’altro, la tensione opposta, a ricercare - a pretendere - una libertà sbrigliata, non caotica, ma insofferente alla disciplina. Felix Vallotton, artista franco-elvetico vissuto a cavallo del “secolo breve” (1865-1925), si ritrova in seno le due forze contrapposte del calvinismo materno - che lo porteranno, ad esempio, a contrarre matrimonio non con la giovane amante di sempre, ma con una ricca vedova, figlia di mercanti d’arte, in grado di sostenere la sua carriera - e quelle libertarie, nate all’ombra della repressione subita in età scolastica ad opera di educatori e insegnanti, che ne fanno un autentico anarchico, insofferente tanto delle regole religiose quanto di quelle laiche. Punto di partenza già di per sé instabile, che unito a una spiccata sensibilità artistica lo rende vulnerabile al disagio psicologico, fino alla depressione. Ma, soprattutto, rende l’uomo che scriveva al fratello circa la ragionevolezza della sua scelta (nonostante la nuova fidanzata avesse già tre figli), lo stesso che diceva: «Penso più alle opere che agli uomini. Oggi l’una, domani l’altra, seguendo il tempo. [...] La natura? Le idee? Si fa quel che si può. Dal momento che le più grandi idee sono piccole, bisogna recarsi spesso in campagna, osservare l’acqua scorrere sotto i ponti, e fare all’amore sul divano con qualche bella donna»...
“I Quaderni di Via del Vento” costituiscono una collana (diretta da Fabrizio Zollo) di testi inediti o rari del Novecento, pubblicati in esemplari numerati (duemila, in questo caso). Qui vengono messi insieme - con una postfazione del curatore, Marco Alessandrini, oltre a biografia e apparato critico - brani del pensiero di Felix Vallotton, travagliato artista che ha riversato nella pittura le contraddizioni di un’esistenza gravata dal peso di un’educazione intollerabile e di una propensione all’ordine che sovente mal si concilia con le forze dinamitarde della creatività. Arricchito da un repertorio di immagini (essenzialmente xilografie e matite). Un’operazione editoriale di un certo pregio (già la scelta della carta e dei caratteri la dicono lunga sulla cura riposta, nonostante un piccolo refuso), che tuttavia mette insieme contenuti eterogenei, troppo frammentari - lettere, diari, articoli di giornale - e in quantità troppo ridotta, utili più come invito ad approfondire la conoscenza di un autore trascurato, che a farsene propriamente (seppur limitatamente) un’idea. Manca insomma un’unità di fondo, che il curatore si sforza di rinvenire nel suo breve saggio di chiusura “Una geometria delle passioni”.
Felix Vallotton, Vedo vivere, non vivo, ed. Via del vento, 2015.
(«Mangialibri», 16 maggio 2016)
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