C.W. Sughrue, che nel suo mestiere di investigatore privato ne ha viste di cotte e di crude, su e giù per gli Stati Uniti e al di là della frontiera del Messico, ha moglie e figlio ormai. Anche se la moglie - che ha scelto di non seguire - lavora a millecinquecento miglia di distanza, a Minneapolis, e ha portato il figlio con sé. Lui vorrebbe comunque starsene tranquillo a smaltire quella brutta ferita da arma da fuoco che gli ha lasciato l’ultima operazione sul campo: e per “smaltire” intende “sbronzarsi con gli amici fino a notte fonda”, come se un domani non dovesse esserci. Purtroppo gli amici sono anche quelli che presentano il conto più salato: ed ecco Mac spuntare all’improvviso e proporgli un nuovo caso. Sughrue non vuol proprio saperne: primo, William MacKinderick fa lo psichiatra e lui non vuole avere a che fare con dei pazzi; secondo, lui non pedina la gente per scoprire chi abbia sottratto informazioni riservate al dottore; terzo, non si dovrebbe mai lavorare per degli amici. Ma alla fine il caso lo accetta lo stesso, per la solita, cronica, indecorosa e invalicabile mancanza di quattrini; e perché a un amico di bevute, stringi stringi, non puoi dire di no nemmeno se ti stia chiedendo di scortarlo all’inferno. Quello che proprio non si aspetta è la porta della casa che sta tenendo d’occhio, aperta, e quel silenzio innaturale che proviene dall’interno...
C.W. Sughrue, detective scalcagnato ma pronto a tutto che abbiamo già incontrato in L’ultimo vero bacio (http://mangialibri.com/libri/l%E2%80%99ultimo-vero-bacio) e in L’anatra messicana (http://mangialibri.com/libri/l%E2%80%99anatra-messicana), si trova stavolta, più del solito, ad affrontare qualcosa di più grande di lui: altro che recupero di dati, qui il sangue scorre come acqua in un canyon, e il suo eterno acerrimo nemico - quella testaccia dura che lo porta a perseverare in un caso anche quando è ormai apertamente chiaro che si tratta di una missione in cui non si faranno prigionieri - è sempre in agguato e lui non sa come vincerlo una volta per tutte. Non che questo sia il suo problema principale: quello che gli crea più grane con la polizia, tanto per cominciare, è il suo “tenere più alla giustizia che alla legge” (caratteristica che lo vede giungere in amplissimo anticipo rispetto al Jack Reacher di Lee Child). Se della prima indagine di C.W. Sughrue è stato scritto: «Il Grande Romanzo Americano? È uscito da un pezzo, e ha per titolo L’ultimo vero bacio» (Neal Stephenson), di questa terza avventura la rivista “Time Out” ha detto: «Questo romanzo è così hardboiled che, al confronto, Ellroy e Connelly sembrano Simon e Garfunkel». Un ritorno in grande stile per un personaggio che non leggeremo mai più in una storia dedicata (a parte la fugace avventura del racconto “La scrofa messicana”, pubblicato in Italia nell’antologia einaudiana The Dark Side, a cura di Roberto Santachiara), e che comparirà l’ultima volta in compagnia dell’altro grande protagonista di Crumley, Milo Milodragovitch, nel romanzo Il confine dell’inganno.
James Crumley, Una vera follia, ed. Einaudi, 2005.
(«Mangialibri», 27 maggio 2016)
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