
C.W. Sughrue, detective scalcagnato ma pronto a tutto che abbiamo già incontrato in L’ultimo vero bacio (http://mangialibri.com/libri/l%E2%80%99ultimo-vero-bacio) e in L’anatra messicana (http://mangialibri.com/libri/l%E2%80%99anatra-messicana), si trova stavolta, più del solito, ad affrontare qualcosa di più grande di lui: altro che recupero di dati, qui il sangue scorre come acqua in un canyon, e il suo eterno acerrimo nemico - quella testaccia dura che lo porta a perseverare in un caso anche quando è ormai apertamente chiaro che si tratta di una missione in cui non si faranno prigionieri - è sempre in agguato e lui non sa come vincerlo una volta per tutte. Non che questo sia il suo problema principale: quello che gli crea più grane con la polizia, tanto per cominciare, è il suo “tenere più alla giustizia che alla legge” (caratteristica che lo vede giungere in amplissimo anticipo rispetto al Jack Reacher di Lee Child). Se della prima indagine di C.W. Sughrue è stato scritto: «Il Grande Romanzo Americano? È uscito da un pezzo, e ha per titolo L’ultimo vero bacio» (Neal Stephenson), di questa terza avventura la rivista “Time Out” ha detto: «Questo romanzo è così hardboiled che, al confronto, Ellroy e Connelly sembrano Simon e Garfunkel». Un ritorno in grande stile per un personaggio che non leggeremo mai più in una storia dedicata (a parte la fugace avventura del racconto “La scrofa messicana”, pubblicato in Italia nell’antologia einaudiana The Dark Side, a cura di Roberto Santachiara), e che comparirà l’ultima volta in compagnia dell’altro grande protagonista di Crumley, Milo Milodragovitch, nel romanzo Il confine dell’inganno.
James Crumley, Una vera follia, ed. Einaudi, 2005.
(«Mangialibri», 27 maggio 2016)
