Il mestiere del prete può essere defatigante: sempre a disposizione dei fedeli, sottoposto alle continue richieste della gerarchia e ai rigidi orari delle tante attività religiose e sociali… ecco perché, quando finalmente arriva, a fine giornata, quel momento libero che non si vedeva da settimane, non si può che gioirne e sfruttarlo subito al meglio. Così che don Andrea mette su una videocassetta presa dal suo scaffale - siamo nel 1991, “in un paese della Sardegna” - e comincia a gustarla in ogni dettaglio, la scelta dei colori, i tagli della luce, l’espressione degli attori… quando sente bussare alla porta. Magari è Daniela, la perpetua (ma guai a chiamarla così!), che giunge un po’ in ritardo per la cena. Ma quando va ad aprire, si rende conto che non è lei: alla sua porta hanno appena bussato i carabinieri. Luca e Maurizio, in verità, due giovani che conosce bene (non si trovano mica in una metropoli) e che lo inducono a pensare alla sua bella terra e ai luoghi comuni che vedono nel sardo nient’altro che un pastore - dimentichi dello splendore arcaico della civiltà dei nuraghe. Non si aspettava di vederli proprio a casa sua, e a quell’ora. Tuttavia non è tanto questo che lo stupisce; quanto il motivo per cui sono venuti a trovarlo...
Al di là di qualunque pregiudizio sull’autopubblicazione, questo romanzo è purtroppo un esempio lampante delle conseguenze cui può andare incontro un autore che faccia a meno di confrontarsi con il mercato editoriale: confronto che può risultare sfibrante, ma che di certo avrebbe evitato a Murana la stampa di un errore come «dì a qualcuno». In assenza di editing (e forse di quel salutare “no” che un buon editore sa opporre a un autore ancora immaturo, per il suo bene, affinché la sua opera decanti il tempo necessario a renderla adatta al pubblico), assistiamo qui a svariate imprecisioni ortografiche e stilistiche (punteggiatura incostante; virgolette aperte ma non chiuse; tondo in apertura e corsivo in chiusura…), a dialoghi imbarazzanti intervallati da lunghe tirate fuori luogo, da un uso curioso e improprio delle maiuscole (Cresima, Battesimo, Carabinieri…) e da uno sfoggio di dialetto napoletano completamente sbagliato. Insomma, meglio avrebbe fatto l’autore a sottoporre la sua opera alla benvenuta critica di un editore (non infallibile, per carità; ma si sa che il più fallibile di tutti, su una certa opera, è proprio chi l’ha scritta), facendone tesoro. Ne avrebbe guadagnato lui. E anche il lettore.
Francesco Murana, Il ritorno di Elia, ed. Phasar, 2015.
(«Mangialibri», 13 maggio 2016)
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