Max Bettencourt è un investigatore privato; forse non il migliore in circolazione, ma nemmeno il peggiore, il che lo porta a un atroce interrogativo: come mai, in una metropoli caotica, problematica e sovraffollata come la New York della fine del ventunesimo secolo, nessuno sembra aver bisogno dei suoi servizi? Questo almeno sembra dire il suo portafogli. Ma non si butta giù, anzi: lascia che siano le sigarette e l’alcol a farlo per lui. Al punto che, quella mattina, si decide ad andare in ufficio con quasi tre ore di ritardo: lì lo attende Annette, la sua robosegretaria modello C-12, che gli fa notare che la sua agenzia non ha futuro, se si permette il lusso di far attendere tanto i suoi clienti. Ha detto proprio così: “clienti”. Una parola che non sentiva da tanto tempo, e quasi non può credere ai suoi occhi quando si ritrova davanti quella donna così bella, Melanie Stuart, venuta in rappresentanza del signor Clive Markinson - titolare della Markinson Unlimited, il maggior fornitore di tecnologia bellica dello stato - a proporgli l’ingaggio forse più importante della sua vita: Markinson, infatti, oltre che noto filantropo, è attualmente in corsa per le elezioni presidenziali; e non fa bene al consenso avere un gruppo di fanatici come Artiglio Nero che terrorizza la popolazione degli Stati Uniti da oltre due anni...
I punti di forza di questo racconto lungo sono la rapidità dell’azione e il linguaggio scarno che ben si addice a una narrazione che vuol essere, appunto, veloce. I punti di debolezza, purtroppo, vi convivono: le descrizioni sono frettolose, approssimative e stereotipate (siamo in un generico futuro che non è molto diverso dal presente, dove al posto della televisione c’è la olovisione… ricorda qualcosa?). La lingua, d’altro canto, avrebbe avuto bisogno di un grosso lavoro di rifinitura, per evitare i tanti “gruppo terroristico che terrorizza gli USA”, “dieci milioni di abitanti” ripetuto 3 volte in 4 righe, molti tanti troppi punti esclamativi; e non di meno l’ortografia, dove si inciampa in refusi sparsi, doppi spazi, l’intollerabile compresenza delle virgolette dritte ("") accanto a quelle con grazie (“”). A Cetta non mancano né le idee né l’entusiasmo, ingredienti fondamentali della buona scrittura; gli manca però la disciplina che viene tra l’altro dalla lettura onnivora (non limitata alla letteratura di genere) e dalla giusta guida che gli ricordi quanto abusata sia ad esempio l’espressione “un mare di pensieri si agitava dentro di lui”. Quindi, male stavolta: ma nulla esclude - è anzi auspicato - che la prossima volta vada meglio.
Enrico Cetta, Election Day, ed. Sensoinverso, 2015.
(«Mangialibri», 23 maggio 2016)
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