
Difficile trovare un autore in grado di condensare l’attualità del suo pensiero nel primo capoverso. Roberto Mancini - già noto per i suoi molti precedenti lavori, fra i quali ricordiamo almeno Orientarsi nella vita (ed. Qiqajon) e Obbedire solo alla felicità (ed. Romena) - offre qui con grande chiarezza una sintesi del problema contemporaneo (il primo? Certo uno di più grandi): le religioni sono intrinsecamente violente? E: come si manifesta effettivamente nel mondo quello che siamo soliti chiamare cristianesimo?
Di fronte all’inasprirsi dei fanatismi, del terrorismo e delle quanto meno ambigue rivendicazioni culturali (“Noi siamo l’Occidente; loro sono… e non sono…”, come se le culture non si fossero vicendevolmente permeate da sempre - o non si chiamano forse “arabi” i numeri con i quali noi “occidentali” facciamo la nostra amata scienza?), è necessario fare chiarezza. Riprendendo l’antica - ma non ancora sufficientemente approfondita - distinzione tra religione e fede; e ricordando che la religione è una via di salvezza. Cioè una cosa molto, molto concreta. Gli uomini hanno un preciso ruolo in ciò: nessun Dio e nessun Libro possono essere delegati. Riflessione di Mancini che si fa al contempo necessaria e urgente: per ricordarci che il vero infedele - cristiano, musulmano, buddhista o ateo che sia - è chi si sottrae all’irrinunciabile compito della pace.
Roberto Mancini, La nonviolenza della fede. Umanità del cristianesimo e misericordia di Dio, ed. Queriniana, 2015.
(«l'Altrapagina», gennaio 2016)
