mercoledì 20 gennaio 2016

Noir oltre il nero. Intervista a Tony Laudadio

Tony Laudadio, casertano doc, è da sempre attore di teatro e di cinema. Nel 2013 esordisce in narrativa con Esco (Bompiani), e da allora ha dato alle stampe un noir all’anno. La prima cosa che ti colpisce, vedendolo avvicinarsi insieme alla sua splendida famiglia, è la serenità che trapela dal suo modo di parlare piano, sempre sorridendo, spontaneo e autoironico: «Come ho cominciato a fare l’attore? - dice, in risposta alla mia domanda. - Ma qualsiasi cosa va bene, pur di non lavorare!». Ci siamo appena incontrati, e già mi sembra di conoscerlo da sempre. Poi viene fuori che, nato in Liguria, vive a Caserta dall’età di due anni; e che il suo primo vero amore non è il teatro, ma la musica. Lì capisco che sono ancora tante le cose che non so…

Inizi la tua carriera come attore, prima che come scrittore.
In realtà nasco come musicista prima d’ogni altra cosa: a undici anni suonavo il flauto traverso, a sedici il sax, che suono ancora e che, di quando in quando, continuo a portare sul palco. Ancora oggi, la mia vera vocazione sarebbe quella musicale: ogni tanto avverto la tentazione di lasciare tutto, prendere lo strumento e andarmene in tournée con una band di jazzisti (finora sono riuscito a resistere). Poi, arrivò il teatro: dopo le prime recite amatoriali, con gli amici, andai a Firenze per le selezioni d’ingresso alla Bottega di Gassman, dove venni scelto, bontà loro, insieme ad altri diciannove, fra cinquecento ragazzi. Cominciai a farmi l’idea che, se questo era quello che volevo fare, forse qualche chance ce l’avevo davvero.
Poi è arrivata la scrittura, nel 2013. Quando e come sei passato dal teatro alla narrativa?
Innanzitutto non si tratta di un “passaggio” ma di un “ampliamento”, perché continuo a fare teatro, che rimane la mia prima attività. E dal teatro è nata anche la scrittura: gli amici delle Edizioni Spartaco mi avevano chiesto di raccogliere in volume alcuni testi che avevo scritto fino ad allora, e ne è venuto fuori Teatro fuorilegge, nel 2010. A ben vedere, però, è cominciato tutto da lì: la mia agente (allora non lo era ancora) lesse quel libro, mi contatto e mi spinse a scrivere narrativa. Col senno di poi, la sua intuizione fu giusta e devo ringraziarla: mi ha fatto scoprire un aspetto di me - quello del narratore - che rischiava di rimanere in ombra.
A cosa stai lavorando adesso?
L’idea sarebbe quella di allontanarmi per una volta dal mio “genere narrativo”, che è quello di non dare connotazioni geografiche definite, né precise indicazioni sull’estetica e le descrizioni dei personaggi: vorrei invece parlare di questo territorio, sempre con uno sguardo obliquo, inusuale. Mi piacerebbe pensare a uno sguardo quasi impersonale, come filtrato da una specie di voyeur della città, che non visto spii gli altri. E ci sarà molta musica.
Che genere è stato, invece, finora quello dei tuoi romanzi?
Premetto che ho difficoltà a parlare di “genere” per i miei scritti. E non per la solita velleità dello scrittore, che si ritiene talmente originale da non permettere alcuna classificazione. Il problema invece è che, quando scrivi, non lo fai in vista di un certo genere - a meno che tu non stia scrivendo su commissione, ma questa fortunatamente è una cosa con cui non ho mai dovuto fare i conti - bensì cercando di esprimere quello che vuoi dire nella maniera migliore. Che è ogni volta diversa. Oltretutto un romanzo, se ben scritto, dovrebbe contenere una tale varietà multiforme di suggestioni che difficilmente si potrebbe far rientrare tutto in un unico alveo. Dicono che i miei libri sono noir. Eppure sono tutti diversi. Quello che li accomuna è la suspense, quella “cosa” che attrae il lettore e lo induce a passare alla pagina successiva. Di che genere stiamo parlando? Non ne esiste mica uno solo, tutta la buona narrativa dovrebbe creare suspense.
Cos’altro hai nel cassetto, oltre alla narrativa?
Intanto ho un paio di idee per le stagioni teatrali 2016 e 2017, che porterò in tutta Italia. Accanto a queste, sto lavorando a un progetto cinematografico che mi vedrebbe - per ora solo nei miei sogni! - regista, alla mia prima regia, e protagonista. Rimanendo nel cinema, sono in uscita due film: uno di David Grieco, che parla della macchinazione che ha portato alla morte di Pasolini; e quello più recente, che abbiamo finito di girare a novembre, di Eduardo De Angelis, che parla di due gemelle siamesi cantanti, una trama molto originale.
Quale saluto vuoi inviare al pubblico di «Mangialibri», che “legge come mangia”?
Un invito a divorare, piuttosto che a mangiare; perché credo che la voracità con la quale leggi un libro sia proporzionale al contatto che stabilisci con chi scrive. E stabilire un contatto, un’intesa così stretta, è il sogno di ogni autore.
(«Mangialibri», 20 gennaio 2016)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano