Ancor più volentieri si riscopre tutto questo, quando la traduzione si pone come obiettivo fondamentale - oltre alla fedeltà all’originale, che si dà per scontata (qualunque cosa possa significare questa parola, in un ambito in cui “tradurre” fa sempre rima con “tradire”) - quello della più grande fluidità: obiettivo centrato perfettamente da Einaudi, che ha affidato l’arduo compito a Ottavio Fatica - traduttore e insegnante della pratica del tradurre perugino, che ha lavorato per i più grandi editori d’Italia, già vincitore dei premi Mondello e Monselice (nonché del Premio Nazionale per la Traduzione), che ha tra l’altro tradotto le opere di Joseph Conrad, William Faulkner, Henry James e curato quelle di Rudyard Kipling, Flannery O’Connor, Jack London.
L’esito di questa impresa (che non teme il confronto con la “classica” traduzione di Cesare Pavese per Adelphi) è un prodotto di qualità altissima, caratterizzato dall’attenzione verso una resa testuale della massima attualità: spiccano in tal senso la scelta di lasciare intatti i nomi dei protagonisti (del resto non siamo più nell’epoca in cui di traduceva in “Emanuele” il nome di Kant; né siamo più al tempo in cui si ignorava la pronuncia dell’inglese, ragione per la quale era necessario scrivere “Achab”), per cui leggiamo finalmente di Ishmael e di Ahab; e l’assenza di termini desueti e di difficile fruizione.
Per le caratteristiche intrinseche del contenuto, oltre che per le rifiniture del volume, la lettura è fortemente consigliata.
H. Melville, Moby Dick, ed. Einaudi, 2015. Traduzione di Ottavio Fatica.
(«Pagina3», 19 gennaio 2016)
