Orrore vesuviano, come sappiamo bene, non esiste: nasce dalla creatività di Francesco Costa e prende forma nel suo romanzo omonimo, appena edito da Bompiani. Un’“opera di fantasia”, si dice in questi casi, sottintendendo che ha poco o niente a che fare con la realtà. Allora perché l’atmosfera ci sembra tanto familiare? Perché i fatti narrati - pur nel loro evidente eccesso - ci sembrano tutt’altro che inverosimili o distanti? L’autore prende spunto da quello che ha intorno a sé, è evidente. Ma è tutto qui?
Il dubbio che la separazione tra realtà e fantasia sia tanto marcata, continua a tornarmi. Leggo sul giornale che uno degli attori di Gomorra, che nel celeberrimo film di Garrone interpretava il ruolo di uno spacciatore… è stato arrestato per droga. (Peraltro non sarebbe il primo: anni fa un altro di quello stesso cast era stato arrestato poco dopo le riprese). E mi domando: quanto è stretto il legame fra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo? Quanto facilmente la realtà arriva a superare la fantasia? Quanto le due si intridono e si alimentano a vicenda?
Nel caso di eventi editoriali come questo, si sente spesso ripetere che gli scrittori napoletani sono particolari e unici perché vivono immersi in un mondo che non ha simili. Leggo e - come dire: automaticamente - mi inorgoglisco. Un attimo dopo penso a quanto spesso - tutti i giorni, a ben vedere - immagino che le cose possano essere diverse. Finisco per pensare che, se le cose cambiassero davvero, cambierebbe anche la nostra letteratura. Mi dispiacerebbe. Assai. Ma non ne sarebbe forse valsa la pena?
(«Il Caffè», 2 ottobre 2015)
