Cecilia di Nola è una circense che ha appena finito di dare il suo spettacolo nel prestigioso palazzo napoletano dei Guzmán, famiglia di signori spagnoli. È il 1655, e i francesi non vedono l’ora di strappare il Regno ai loro acerrimi rivali. In questo contesto storico, anche la più innocente delle azioni può risultare pericolosa; e ora Cecilia - che ha appena ascoltato, per di più involontariamente, dell’accordo segreto tra un avido francese disposto a tutto e un infido spagnolo pronto a tradire la sua patria - teme per la sua vita: come fare a convincere i suoi increduli parenti che il rischio è reale e prossimo? Come sfuggire alle grinfie del perfido e potentissimo don Gustavo Guzmán? Anche Sebastiano Filieri, pittore, teme per la propria vita: sono in due contro di lui, impugnano dei coltelli e l’hanno messo con le spalle al muro. Potrebbe forse avere ragione di entrambi, ma l’intuito gli consiglia di temporeggiare: è una di quelle serate in cui gli animi si infiammano in un attimo, e altrettanto velocemente ritornano alla normalità. Eppure, quello che più teme in questo momento, è se stesso: e il pensiero che magari, se anche si lasciasse ammazzare, non sarebbe poi una cosa tanto tremenda...
Alfredo Colitto non è nuovo al romanzo storico - né alle venature noir, che qui si stagliano sullo sfondo di un’epidemia che sembra bruciare le anime, oltre che i corpi. È tutto buono: dallo stile, ai dialoghi, alla caratterizzazione dei luoghi e dei personaggi. Perfino “troppo”, verrebbe da dire: la scrittura è consumata, padroneggiata, è tutto talmente al suo posto che ameresti, di quanto in quando, trovare una sbavatura da qualche parte, qualcosa che - all’improvviso - ti strattoni tirandoti via per il bavero della giacca. Buona anche la scelta di raccontare la tragedia della spartizione della città di Napoli da parte di “altolocati” variamente pinti, dal basso: mentre i signorotti di turno tramano per null’altro che accrescere il proprio potere personale e familiare (e per loro, in fin dei conti, vivere a Napoli è come vivere in qualunque altro luogo della terra), il popolo lavora, vive, soffre e spera a contatto con una realtà unica che non può che essere amata, anche quando mostra il suo volto più terribile: quello della peste.
A. Colitto, Peste, ed. Piemme, 2014.
(«Mangialibri», 15 ottobre 2015)
giovedì 15 ottobre 2015
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