Venezia, luglio 2015. La notizia arriva sul web e comincia a fare scalpore: il Sindaco della città lagunare annuncia che metterà al bando 49 libri per bambini utilizzati nelle scuole del capoluogo. Censura, sì. Nel 2015. Partono subito le petizioni online, da Facebook a Change, scrittori e intellettuali invitano a sottoscrivere insieme a loro una lettera di protesta al sindaco che potrebbe riassumersi così: «Gentile Sindaco, per favore censuri anche i nostri libri: non vogliamo stare in una città che mette al bando quelli degli altri». La tentazione è forte, verrebbe subito da appoggiare la protesta e da manifestare lo sdegno. Poi, superata la compulsione da social networking, mi fermo a riflettere: in fin dei conti Venezia è una città che amo e non è vero che non vorrei starci; al contrario, non vedo l’ora di tornarci. E non è giusto che una città - o la sua popolazione - venga identificata con i suoi amministratori: non mi piaceva che, ai tempi di Berlusconi, all’estero pensassero di me in termini di “bunga bunga”. Così mi decido a scrivere a un mio caro amico che a Venezia ci abita e che insegna in una scuola del Lido, in cerca di chiarimenti. Riporto qui la sua risposta:
«Caro Paolo,
la questione è sottile. Ogni censura è sbagliata di principio e questo rende colpevole il nuovo sindaco. Però non credo nemmeno che il Consiglio, con maggioranza mista, gli permetterebbe un gesto tanto autoritario senza una forte opposizione. La disposizione è legata all’azione subdola con cui una consigliera aveva abbindolato il precedente sindaco facendosi pubblicare tutta una serie di libri di propaganda dell’ideologia gender. Ora, dal momento che la libertà d’opinione è sacra, tu potresti anche essere favorevole a un’educazione gender che insegna ai bambini dell’asilo che la nostra identità sessuale non è predefinita dai nostri organi genitali, ma può essere scelta autonomamente. Ma se così non fosse, puoi ben capire perché il nuovo sindaco si sia scagliato contro queste pubblicazioni che anticipano esageratamente l’educazione sessuale, propongono precocemente la masturbazione e impongono la definizione di genitore 1 e 2 come alternativa al concetto naturale di padre e di madre. Questa censura era una delle tante promesse elettorali, come la riduzione di tutte le salatissime spese mortuarie. Mantenere le promesse, al di là delle nostre opinioni in merito, mi sembra comunque un gesto di coerenza e di rispetto verso chi lo ha eletto.»
Non ho amici reazionari, e men che meno lo è lui. Evidentemente lì il problema si è posto in questi termini; e forse stanno cercando di porre rimedio - magari in maniera a sua volta sbagliata - a uno sbaglio precedente. Non lo so. Però da questa esperienza ho capito due cose: la prima è che ho fatto bene a non lasciarmi trascinare dall’impulso del clicca-e-opina. La seconda è che… mi manca tanto Venezia!
(«Il Caffè», 9 ottobre 2015)
venerdì 16 ottobre 2015
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