
Ma procediamo con ordine. Prima della pausa estiva parlavamo di Taranto (Pulsano, in realtà, un paese della provincia costiera) e dello scempio - ché di questo si tratta, pur nel suo piccolo - dell’ingresso di una chiesa aperta al pubblico interamente circondato dai tavolini di un ristorante. Ora, nella stupenda Volterra, me ne vado a passeggio e vedo… quello che anche voi vedete nella foto: l’ingresso di una chiesa… circondato da tavolini, avventori, camerieri.
Difficile a questo punto immaginare chi dei due possa aver fatto scuola all’altro. Ma vorrei provare a commentare entrambe le situazioni al di là di ogni moralismo: insomma, indipendentemente da come la si pensi, o di come si voglia valutare il rispetto per delle cose che qualcuno considera sacre, credo possiamo dire di essere di fronte al simbolo di una realtà che va facendosi, sotto i nostri occhi, sempre più indistinta. “Liquida”, si può dire con Bauman, in cui la distinzione tra le cose viene meno e tutto finisce per diventare uguale, il tempo, i luoghi, le attività, le possibilità. La qualità si sfoca e, alla fine della fiera, chi si cimenti nel cercare di capire le cose, appunto distinguendole dalle altre, ha sempre più difficoltà: non c’è da sorprendersi se i nostri giorni si svuotano dei significati e - al contempo - si riempiono di slogan.
Ero partito con l’intenzione di parlare, banalmente, di un malcostume. Magari fosse solo quello. Sono sempre troppo ottimista.
(«Il Caffè», 11 settembre 2015)
