Facile parlar male del sud. Voglio dire: basta guardarsi intorno per pescare qualcosa che potrebbe andare meglio. Un po’ più difficile è farlo con lo sguardo puntato a nord, soprattutto quando si tratta di uno di quei tanti nord che ami. La Toscana, ad esempio, dove sono tornato in vacanza, anche quest’anno.
Ma procediamo con ordine. Prima della pausa estiva parlavamo di Taranto (Pulsano, in realtà, un paese della provincia costiera) e dello scempio - ché di questo si tratta, pur nel suo piccolo - dell’ingresso di una chiesa aperta al pubblico interamente circondato dai tavolini di un ristorante. Ora, nella stupenda Volterra, me ne vado a passeggio e vedo… quello che anche voi vedete nella foto: l’ingresso di una chiesa… circondato da tavolini, avventori, camerieri.
Difficile a questo punto immaginare chi dei due possa aver fatto scuola all’altro. Ma vorrei provare a commentare entrambe le situazioni al di là di ogni moralismo: insomma, indipendentemente da come la si pensi, o di come si voglia valutare il rispetto per delle cose che qualcuno considera sacre, credo possiamo dire di essere di fronte al simbolo di una realtà che va facendosi, sotto i nostri occhi, sempre più indistinta. “Liquida”, si può dire con Bauman, in cui la distinzione tra le cose viene meno e tutto finisce per diventare uguale, il tempo, i luoghi, le attività, le possibilità. La qualità si sfoca e, alla fine della fiera, chi si cimenti nel cercare di capire le cose, appunto distinguendole dalle altre, ha sempre più difficoltà: non c’è da sorprendersi se i nostri giorni si svuotano dei significati e - al contempo - si riempiono di slogan.
Ero partito con l’intenzione di parlare, banalmente, di un malcostume. Magari fosse solo quello. Sono sempre troppo ottimista.
(«Il Caffè», 11 settembre 2015)
venerdì 18 settembre 2015
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