
Claudio Sara, avvocato avellinese, scrive un noir con un linguaggio burocratico e forense più adatto all’aula di tribunale che alla narrativa: ne viene fuori un resoconto stereotipato, freddo, della sequenza di eventi narrata, dove i “delitti” non possono che essere “efferati”, la povera gente incappa “nelle maglie della legge” e ci si lascia guidare “dalla stella polare della giustizia e della verità” (inutile dire che la “giustizia” è quella “con la G maiuscola”). Ciò che si perdona a un’opera prima il cui intreccio non sarebbe spiacevole. Imperdonabile è, invece, l’editing superficiale che ci fa leggere di una moglie che è rimasta incinta 3 volte ma non è mai riuscita a portare avanti la gravidanza fino alla fine: per cui il medico ha ordinato a entrambi i coniugi di assumere tonnellate di miele, noto rimedio alla… sterilità (problema che, con tutta evidenza, con le loro 3 gravidanze, sono ben lontani dall’avere): segno - tra gli altri - di una disattenzione nei confronti del proprio autore che un editore non dovrebbe potersi permettere, e a cui va evidentemente ricondotta in buona parte anche la debolezza stilistica cui si è accennato. Un fallimento che si sarebbe potuto evitare. Peccato.
C. Sara, Il seme del dubbio, ed. Ensemble, 2015.
(«Mangialibri», 23 settembre 2015)
