«Quel delinquente travestito da soldato ritiene ormai di avere eluso la legge e deriso la giustizia con un piano diabolico, assicurandosi l’impunità del suo gravissimo delitto che ha irreparabilmente rovinato una fanciulla e ha distrutto un’onesta famiglia»: così comincia la lettera che Ranucci Guido, padre della ragazza in questione, rivolge all’avvocato Renzo Vinsa, perché lo aiuti a fare in modo che quel farabutto, finalmente, la paghi. Da quando l’ha ricevuta - siamo nel 1958, il ricordo della guerra è ancora vivo e le sue conseguenze si fanno ancora sentire duramente - l’avvocato non riesce a smettere di pensarci: il torto commesso è tanto grave che non intende rinunciare alla difesa; ma la cosa è tutt’altro che semplice. Soprattutto se vi si aggiunge la difficoltà di un committente che, nel momento decisivo, rifiuta di comparire di fronte al giudice a testimoniare in prima persona: finalmente potrebbe gridare al mondo alle sue ragioni e, senza fornire una valida spiegazione, vi si oppone...
Claudio Sara, avvocato avellinese, scrive un noir con un linguaggio burocratico e forense più adatto all’aula di tribunale che alla narrativa: ne viene fuori un resoconto stereotipato, freddo, della sequenza di eventi narrata, dove i “delitti” non possono che essere “efferati”, la povera gente incappa “nelle maglie della legge” e ci si lascia guidare “dalla stella polare della giustizia e della verità” (inutile dire che la “giustizia” è quella “con la G maiuscola”). Ciò che si perdona a un’opera prima il cui intreccio non sarebbe spiacevole. Imperdonabile è, invece, l’editing superficiale che ci fa leggere di una moglie che è rimasta incinta 3 volte ma non è mai riuscita a portare avanti la gravidanza fino alla fine: per cui il medico ha ordinato a entrambi i coniugi di assumere tonnellate di miele, noto rimedio alla… sterilità (problema che, con tutta evidenza, con le loro 3 gravidanze, sono ben lontani dall’avere): segno - tra gli altri - di una disattenzione nei confronti del proprio autore che un editore non dovrebbe potersi permettere, e a cui va evidentemente ricondotta in buona parte anche la debolezza stilistica cui si è accennato. Un fallimento che si sarebbe potuto evitare. Peccato.
C. Sara, Il seme del dubbio, ed. Ensemble, 2015.
(«Mangialibri», 23 settembre 2015)
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