Fine settimana a Taranto, a casa di amici. Luigi, il mio ospite, mi porta in spiaggia. Mentre siamo in acqua - vuoi il caldo, vuoi la vena filosofica che, a un certo punto delle giornate estive, prende sempre il sopravvento - mi chiede di guardare verso gli ombrelloni. «Vedi - mi fa - su questo piccolo tratto di costa c’è la rappresentazione perfetta dell'Italia di oggi: noi siamo in un lido attrezzato e decoroso, senza pretese. Accanto, c’è quello riservato ai soci del club: materialmente è lo stesso mare, la stessa sabbia, non c'è niente di più. Però è precluso agli altri, e questo lo rende esclusivo: i notabili della zona fanno a gara ad accaparrarsi la tessera. A pochi metri di distanza, la spiaggia libera, con i suoi teli stesi dappertutto, frittate di maccheroni e carta argentata qui e lì, un paio di piccole tende da campeggio. A seguire, il lido dell’Aeronautica militare: pagato da noi, manco a dirlo, e praticamente vuoto. Uno spreco a cielo aperto. Tutto nell’ambito di 100 metri di mare».
Una descrizione magari discutibile, ma indubbiamente suggestiva. La sera, andiamo a cena in un ristorante del centro. E qui la suggestione cede il passo all'impressione: è obiettivamente impressionante vedere i tavolini riempire la piazza, sconfinando fin sul sagrato della chiesa (aperta ai turisti e al culto; cfr. la foto). «Devo ricordarmi di portare qui i miei amici PD - mi dice - per spiegargli cosa può fare il potere dei soldi». Come se ce ne fosse bisogno: è una di quelle immagini che parlano da sole. Ma il titolare - proprietario di oltre 200 coperti - “mette da sopra”: non accetta bancomat, solo contanti. Il sacro e il profano; la ricchezza e il degrado. Sono a più di trecento chilometri di distanza. Eppure - come dire: - mi sento proprio come a casa.
(«Il Caffè», 24 luglio 2015)
venerdì 31 luglio 2015
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