Si dice spesso che l’uomo non può venir ridotto alla formula fisica del suo organismo (cervello compreso). Ma sarà poi vero? I riduzionismi di ogni epoca - ultimo, solo in ordine di arrivo, quello neuroscientifico - hanno sempre sostenuto che, al contrario, non esiste altro che la materia e che, pertanto, la verità ultima di ogni cosa, anche dell’uomo, vada ricercata… nei suoi atomi. Pretesa arrogante per alcuni (affascinante per altri), che può essere espressa in termini filosofici dicendo che il pensiero coincide con l’essere. La scienza moderna (ed il complesso economico che la sostiene; insieme a quello tecnocratico che ne deriva) utilizza questa conclusione per proporre se stessa quale detentrice unica di un sapere esaustivo. Ma, nonostante l’ambizione, la partita su questo terreno è ancora molto aperta e l’esito ben incerto. E non tanto per motivi teoretici, sia estrinseci (non tutta la filosofia è convinta che il pensiero sia effettivamente coincidente con l’essere, anzi), sia intrinseci (si consideri, ad esempio, l’ancora vivace contrapposizione tra riduzionismo ed emergentismo in fisica); bensì per motivi “morali”, legati alla concretezza del vivere: nell’era della “felicità tecnica”, (gli slogan pubblicitari di certe catene di prodotti tecnologici sono illuminanti al riguardo), aumenta la quantità e la varietà delle malattie mentali. Non solo: l’uomo continua a scontrarsi con la chiara evidenza della propria infelicità; sembra infatti che possa essere felice solo nella contraddizione: come quella, millenaria, tra la sicurezza collettiva e la libertà individuale…
«La psicoanalisi si oppone a questo: al soggetto come prodotto del tentativo scientifico e tecnico di cancellare la soggettività. Per noi, il soggetto deve essere sempre considerato un’eccezione alle regole e alle leggi naturali o scientifiche [...] La cura psicoanalitica è un processo volto a liberare una persona dalla sua sofferenza, ma non dal suo sintomo, che è il luogo in cui si radica l’assoluta differenza di tale soggetto. Si tratta di stabilire una nuova alleanza con ciò che di incurabile esiste in tutti noi». Così Gustavo Dessal - psicoanalista e scrittore argentino, autore di Il ritorno del pendolo (ed. Erickson) insieme a Zygmunt Bauman, sociologo anglo-polacco che non ha bisogno di presentazioni - descrive lo scarto tra un sapere che si arroga la presunzione di conoscere “la realtà tutta intera” (quello scientifico, nella sua versione più ristretta e intransigente) e uno che, al contrario, si scontra quotidianamente, nella propria esperienza clinica, con una realtà che puntualmente eccede i limiti e gli schemi di ogni teoria. Da uno scambio di mail tra i due intellettuali nasce un volume a quattro mani che giunge ad esplorare i confini della nostra società “liquida”, forse sull’orlo di ritornare a qualche forma precedente. Traduzione dallo spagnolo e cura di Riccardo Mazzeo.
(«l'Altrapagina», luglio-agosto 2015; «Mangialibri», 15 settembre 2015)
venerdì 31 luglio 2015
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