lunedì 15 giugno 2015

Yukio Mishima, La decomposizione dell’angelo, ed. Feltrinelli, 2012

Honda Shigekuni ha superato i settant’anni già da un po’ e da quando non ha più la moglie si ritrova spesso a viaggiare da solo. Niente di faticoso, mete vicine e facili, è chiaro. Ma il problema non sono i viaggi: sono i rientri. Dopo essere stato ai piedi del monte Fuji, adesso si ritrova sulla spiaggia, in attesa di rientrare a Shizuoka; e non può fare a meno di osservare il contrasto - di più: la frattura - fra la bellezza strabiliante del mare e i mucchi di rifiuti sulla sabbia. È vero che la vita, priva di senso com’è, ci abbia abituati alla sua intrinseca assurdità; ma è anche necessario - si chiede - che l’esistenza dell’uomo debba sempre essere caratterizzata da tanta bruttezza? Toru invece - sedicenne addetto allo smistamento del traffico navale nel porto di Shimizu - non è turbato da queste cose: le contraddizioni della società lo lasciano indifferente, convinto com’è di appartenere a questo mondo solo in parte. Per metà lui si ritiene infatti appartenente al cielo, quel “reame d’indaco” che tutti i giorni è costretto a rimirare per lavoro. Non che gli dispiaccia, anzi: spaziare con lo sguardo su quella meravigliosa ampiezza è il modo migliore per liberarsi, soprattutto dalle catene del proprio ego...
Leggere Mishima fa un po’ lo stesso effetto del trovarsi di fronte al mostro sacro: percepisci di stare al cospetto della divinità, eppure non riesci ad essere contento di stare lì, il mostro è brutto accidenti, e pur riconoscendo tutte le sue qualità non puoi onestamente far credere a te stesso che ti stia piacendo. Mishima è un gigante della penna, sia chiaro: chi dice il contrario non l’ha letto, o è schiavo di qualche pregiudizio ideologico. Ma è evidente che non è una lettura per tutti. E non solo nel senso generale in cui nessun autore lo è; più in particolare, un certo stile tendente a prendere e lasciare (per poi riprendere) le descrizioni, per pagine e pagine, non aiuta a tenere il filo della narrazione, già di per sé inframmezzata da termini e nomi propri in lingua e resa eterea da approfondimenti psicologici di carattere egotistico (a cui vanno aggiunte ricorrenti frasi senza verbo). Più che a una narrazione sembra spesso di star di fronte alla realizzazione di un quadro, in cui l’affermazione cede il posto alla pennellata. Roba da museo? Nient’affatto. Ma nemmeno una lettura da métro. Questo romanzo è l’ultimo della tetralogia “Il mare della fertilità” e riporta in chiusura la data del 25 novembre 1970, giorno in cui l’autore - appena dopo aver consegnato il manoscritto all’editore - si tolse la vita.


Yukio Mishima, La decomposizione dell’angelo, ed. Feltrinelli, 2012.

(«Mangialibri», 15 giugno 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano