Honda Shigekuni è viceconsigliere alla Corte d’Appello di Osaka e, guardando a ritroso i suoi trentott’anni appena trascorsi, non può non constatarne la linearità e l’ordine: ha un buon lavoro, una bella casa, una moglie con cui va d’accordo e quasi vverrebbe da pensare che le cose potrebbero durare così in eterno. Manca forse la passione, ma non la preferirebbe all’armonia che Rié, dalla quale non ha avuto figli, gli fa trovare a casa ogni sera, al rientro. Tolta la stanchezza di un lavoro impegnativo che lascia pochi margini di riposo e di svago, la sua più grande emozione è il dolore per la perdita prematura dell’amico d’infanzia Kiyoaki Matsugae, di cui sovente scorre ancora le pagine del “diario dei sogni” che gli ha lasciato. Perciò l’incontro con il giovane Isao, campione di kendo (arte marziale basata sull’uso di una lunga spada di legno) è tanto destabilizzante: sarà in grado quel giovane, scapestrato e lucido a un tempo, di rivoluzionare la sua vita così come progetta di rivoluzionare la nazione?
Libro dedicato alla mezza età, di per sé difficile - non si è ancora abbastanza vecchi per potersi lamentare a ragion veduta della multiforme e onnipresente bruttezza delle cose, né più tanto giovani da poter sperare che esse siano o almeno possano essere diverse - e resa ancora più grave e sentita dal protagonista, in un momento di transizione che vede il Giappone (alle soglie della seconda guerra mondiale: siamo nel 1932) smarrire le proprie “certezze” tradizionali in nome di un progresso tecnologico che impoverisce il senso dell’umano. Sullo sfondo la nostalgia per l’amicizia svanita in gioventù e l’amara constatazione che non basta ardire perché il cambiamento sia efficace come si vorrebbe: le cose mutano e si disfano, ma non sembrano cambiare se non in peggio. Secondo romanzo della tetralogia “Il mare della fertilità” (preceduto da Neve di primavera e seguito da Il tempio dell’alba).
Yukio Mishima, Cavalli in fuga, ed. Bompiani, 2002.
(«Mangialibri», 19 giugno 2015)
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