Come molti funzionari pubblici, ho trascorso la notte delle elezioni in ufficio - lontano dal divano e dai servizi Tg cui ero abituato prima - per la raccolta e il controllo dei dati da inviare al ministero dell’interno. Qui non parlerò quindi del risultato politico - quello lo lascio a chi, nello stesso momento in cui mi vedevo sfilare davanti le facce stanche e in qualche caso allucinate dei presidenti di seggio, se ne stava con le gambe stese sul pouf a bere birra e sgranocchiare arachidi - ma di come quel risultato è stato rendicontato, voto per voto, verbale dopo verbale.
Cominciamo dalla critica. Molti presidenti si sono lamentati della chiusura dei seggi alle 23 (invece che alle 22, come di consueto) e dell’obbligo di effettuare lo scrutinio a seguire: non si riesce a rimanere lucidi per tanto tempo e a quell’ora tarda, dicevano, e un po’ hanno ragione (ma un po’ penso ai medici e ai loro turni di quarantott’ore e mi domando se l’istanza non sia eccessiva). Altri lamentavano la complicatezza del voto disgiunto (la possibilità di votare per un presidente e, al contempo, per un consigliere d’altro schieramento) e della quota di genere (la possibilità di esprimere una preferenza doppia, ma rigorosamente per candidati di sesso diverso). E diciamo che anche questa perplessità ci può stare.
Ma non ci può stare nient’altro di quello che ho visto l’altra notte. Il primo a chiudere lo scrutinio si è presentato da noi alle 5 passate. Le 5, sì: dopo 6 ore dalla chiusura. Sei ore per conteggiare meno di 400 schede (la percentuale dei votanti è stata inferiore al 50). Ed è stato il migliore. A seguire - fino alle 10:30 del mattino - ho assistito a cose di difficile credibilità (e qualcuna inenarrabile): gente che ti porta il verbale non compilato; chi te lo consegna con i dati non quadrati (e perdonatemi se sottolineo che, per la quadratura dei dati elettorali, non occorre la conoscenza dell’algebra delle scuole medie, ma solo dell’aritmetica delle elementari); chi ha scritto dati incoerenti (ma insomma: erano 322 o 326? gli chiedi. E lui non lo sa, non lo ricorda, va a memoria e alla fine, con ogni probabilità inventa. Come per farti contento). Qualcuno fa la premessa: “Scusateci, siamo al seggio dalle sette di ieri”; come se tu invece avessi appena preso servizio. Ma i migliori sono i “precisi”: quelli che arrivano alle 9 del mattino ed esordiscono dicendo: “Noi non abbiamo avuto nessun problema nello scrutinio”. “E meno male” vorresti rispondergli (e magari, tra i fumi della stanchezza, che allenta i freni inibitori, ti scappa pure). Poi apri il loro verbale e dentro ci trovi dati stracancellati, semilleggibili e incongruenti. La quadratura non funziona. “Come mai?” ti chiede. “Quando ho fatto io i conti, al seggio, funzionava”. Come se fosse colpa tua. Ti verrebbe da dargli due sberle. Ma poi pensi che quelle ci volevano quand’era piccolo. E, mentre guardi l’orrore che si dispiega su quelle pagine, cercando di capirci - non dico tutto - ma qualcosa, ti incalza: “No, adesso voglio capire dove sta il problema”. Come se ci fossero alternative. O come se stesse esercitando un diritto civile.
Meglio lasciar perdere, faccio una pausa. Mi alzo e vado in corridoio. Io non fumo, ma lì aspiro un po’ quello degli altri. “Come sono andati Caio e Sempronio nella sezione X?” dice uno all’altro; alla cui risposta si stranisce e fa: “Strano che non abbiano preso gli stessi voti: quelli camminavano insieme”. Non può trattarsi di una passeggiata romantica: è chiaro che quel camminare significhi qualcosa d’altro. Non so cosa pensare. Ma forse non è difficile: con la doppia preferenza il voto è riconoscibile. Quindi è controllabile. Quindi è acquistabile (cioè: vendibile). E chi lo acquista, dopo può controllare, e si aspetta un certo risultato. Ma non posso credere che intendessero questo. Non voglio crederci. Dev’esserci un’altra spiegazione. Non voglio pensare male.
Ma non so cosa pensare.
(«Il Caffè», 5 giugno 2015)
venerdì 12 giugno 2015
Modulo di contatto
Etichette
aforismi
Alex Zanotelli
altrui cose
Ambiente
Bambini
Bauman
Bellet
biografia
Brunetta
Bullismo
C'è un sole che si muore
Carlo Sini
Cinema
Claudio Fava
Claudio Fracassi
ControCorrente
Daniele Sensi
Desaparecidos
Diego De Silva
Dio perverso
Dipendenze
disabilità
don Andrea Gallo
don Luigi Merola
don Paolo Farinella
e-book
Economia
Educazione
Ennio Remondino
esercito
Etica d'impresa
eventi
Facebook
Fantascienza
Filosofia
Filosofia della scienza
Foto
Fumetti
Galapagos
Geografia
Giochi
Giulietto Chiesa
Giuseppe Miserotti
Giuseppe Onufrio
Goffredo Fofi
guerra
Guerra e pace
Hegel
Heidegger
i piccoli
Idiosincrasie
Il Partito dell'Amore
il telefonino
Illich
Immigrazione
In che mondo viviamo
Incendi in Russia
Internet
L'azzardo del gioco
L'economia come la vedo io
La Chiesa che non capisco
La guerra è guerra
La piaga del nucleare
La verità cammina con noi
le cose si toccano
Letteratura
lettere
Levinas
Libertà di stampa
Linguaggio e realtà
Luciano Gallino
Luigi Zoja
Mafia
Malainformazione
manuali
Marx
Massimo Cacciari
Massimo Scalia
Massoneria
Matematica
Maurizio Torrealta
Mondo
Morin
Musica
My Last Slating
Noir&Giallo
Novità
Nucleare
Pancho Pardi
Panikkar
Paolo Scampa
Parcheggiatore abusivo
pedagogia
Pietro Barcellona
Pippo Civati
Pirateria somala
poesia
Politica
psicologia
Pubblicità
Racconti e poesie
Religione
Riccardo De Lauretis
Roberto Carboni
Scienza
Scuola
Scusi può ripetere?
Sergio Manghi
Società
sport
Stefano Santasilia
Storia
Teatro
Tecnofollie
Tonino Drago
Vincenzo Pepe
Virtù del pubblico - Vizi del privato
Vito Mancuso
War
Powered by Blogger.