Torino, la città della FIAT. Torino, l’ex capitale d’Italia. Torino, la città della cultura: dal Museo del cinema aperto anche di notte all’annuale Salone Internazionale del Libro, dal Museo egizio secondo al mondo solo a quello del Cairo, al rinomatissimo Circolo settimanale dei lettori. Torino: così statuariamente bella e ricca… da ritrovarsi, in fin dei conti, sempre un po’ uguale a se stessa. Ma sarà poi vero? In questi casi c’è il rischio che l’abitudine e lo stereotipo prendano il sopravvento e cristallizzino un’immagine della quale poi si fa fatica a liberarsi. Non è forse vero, ad esempio, che la silenziosa città sia già da un po’ “vittima” della movida di San Salvario, dove a settimane alterne la polizia è costretta a intervenire a causa delle lamentele per gli schiamazzi e i disordini? Insomma: non è forse vero che la città stia cambiando volto, ultimamente, e che - pur onoratamente vecchia - stia d’un tratto… ringiovanendo?
Nessun ritrattista è migliore di quello che non è imparziale e sa di non esserlo; ma ama il proprio oggetto - che, come nessun altro, conosce da vicinissimo e di prima mano - di un amore così viscerale da potersi permettere, pur nella più grande precisione, la massima libertà. Così questo di Giuseppe Culicchia - scrittore che non ha bisogno di presentazioni - è un “ritratto”: né una guida né un saggio, ma un vero e proprio racconto che, pennellata dopo pennellata ci conduce in una città bellissima che si regge sul fragile e ambiguo equilibrio tra la solidità dell’edilizia (e dell’industria) e la placida scorrevolezza del Po che l’attraversa e la pacifica, metafora di uno status tutt’altro che stabile o addirittura statico come potrebbe forse sembrare. Un invito - scritto benissimo, manco a dirlo - ad andare a Torino. O a tornarci. Per tanti motivi. E magari, passeggiando sul lungofiume in una fresca sera di fine primavera, ad innamorarsene perdutamente.
G. Culicchia, Torino è casa nostra, ed. Laterza, 2015.
(«Mangialibri», 9 giugno 2015)
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