Facciamo un gran parlare della diversità, della sua importanza, della sua ricchezza; teniamo convegni e seminari sulla differenza di genere, di età, di scolarità, di “livello” sociale, di etnia, di lingua, di religione, di cultura… ma la verità è che di tutte queste cose continuiamo a saperne ben poco, perché dietro la superficie (a volte meglio si direbbe: “dietro l’alibi”) dell’informazione e della propaganda, manca la profondità dell’esperienza, del contatto con la diversità, della conoscenza di prima mano di chi diverso lo è veramente.
E quale miglior modo per cominciare questa “conoscenza” che dare la parola a un “diverso”? Ascoltare da lui, direttamente, cosa significhi essere diverso in un mondo di normali, senza la mediazione di professori del settore? È quello che ha fatto l’editore Erickson pubblicando il libro Vivere al buio. La cecità spiegata ai vedenti di Mauro Marcantoni. Che per primo si rende conto di quale gigantesco rovesciamento si tratti: «Ora, forse, ti senti un po’ spaesato: l’idea che sia un cieco e non un “esperto di ciechi” a spiegarti come rapportarti con loro, ti sembra bizzarra. Sarebbe come se fosse un malato mentale a spiegarti come comportarti con lui».
Ma dopo la sorpresa e forse l’imbarazzo delle prime pagine, emerge subito quanto sia salutare questo capovolgimento; quanto le cose non siano state affatto stravolte, bensì finalmente radicate nel loro giusto terreno: quello in cui il disabile è soggetto di azioni, prima che oggetto da parte di intenda cimentarsi nell’aiutarlo; dove il cieco è l’unico a poter spiegare cosa significhi l’essere ciechi (che è cosa ben diversa dal non vedere); dove la cecità - handicap che siamo abituati a ritenere “permanente” - è qualcosa che al buio, a ben pensarci, svanisce, e che si manifesta in quanto difficoltà non “in sé”, ma in un mondo pensato, strutturato, forgiato per i vedenti.
Fino a scoprire che non esistono “i ciechi” e “i vedenti”, ma che ogni persona è unica, particolare, diversa (nelle intenzioni, nei modi, nei desideri, nel linguaggio, nel modo di pensare se stessa e il mondo…) e che, di fronte a una persona, non c’è mai “un altro cieco” da scoprire, ma sempre un alto intero mondo. Concezione dell’unicità di ciascuno che, esaminata nelle sue ultime conseguenze, rende problematico il concetto di normalità, come lo stesso autore rileva: «Culturalmente siamo propensi e disponibili a pensare che ciascuno di noi sia unico e irripetibile. Questa riflessione, per definizione, è in contraddizione con il concetto di normalità: se siamo individui unici non può esistere, nemmeno statisticamente, una normalità».
Vivere al buio è un libro che sorprende davvero: per la sua incredibile capacità di mantenersi denso e pregnante pur nella grande fluidità dell’esposizione. Non c’è che dire: è proprio un libro diverso dal solito.
(«Il Caffè», 24 aprile 2015)
venerdì 1 maggio 2015
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