Apocalisse nucleare? Catastrofe climatica? Domande inquietanti, eppure di scarsa importanza: quello che rimane del mondo è completamente stravolto e per di più ostile - fra affamati rettili mutanti e un ambiente irriconoscibile e sfigurato - e non resta che cercare di sopravvivere. Cioè vivere, perché gli uomini non sanno fare una cosa senza l'altra, e anche nella situazione più disperata non si può rinunciare a scrivere (fossero anche soltanto delle lettere alla madre) o a fare teatro (mettendo in scena il dramma di Edipo)...
Giorgio Manacorda - eclettico autore che ha spaziato negli ultimi settant'anni (è nato nel 1941) dal romanzo al saggio, dalla poesia al teatro, dal lavoro di traduzione a quello editoriale - consegna qui il suo lavoro più originale e visionario, che tematizza un futuro distopico in cui non la fanno da padroni né il Potere né il Male, ma un inconscio inalienabile che si fa vivo e presente (verrebbe da dire "onnipresente", nelle figure simboliche dei grossi rettili, del rapporto tra la madre e il figlio, tra questi e il padre...) anche quando si cerchi di sottacerlo o, addirittura, di misconoscerlo. Quando si ha a che fare con talenti di questa levatura è azzardato usare certi termini, e tuttavia non si può fare a meno di azzardare che questo sia probabilmente uno dei punti più alti dell'opera dello scrittore romano. Assolutamente consigliato.
G. Manacorda, Terrarium, ed. Voland, 2014.
(«Pagina3», 23 maggio 2015)
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