venerdì 17 aprile 2015

M. Valerio, M. Di Vera, J. Pezzetta, Benessere Lavoro Correlato, ed. Erickson, 2014

Può capitare che, sul lavoro, una persona non stia bene: magari non si sente libera di esprimersi, o non si sente parte di un gruppo o di un progetto; oppure non ha buoni rapporti con i colleghi o con i superiori, dai quali non si sente stimata (o che non stima). In casi come questi il problema non è solo della persona: è anche del lavoro, e dell’azienda tutta che di quel lavoro prospera e si serve per va avanti. Per amore o per convenienza, quindi, da molti anni anche il datore più distaccato ha compreso l’importanza di rendere sereno e incentivante l’ambiente di lavoro, si studia il lavoro in relazione al benessere che se ne può trarre, onde mettere i lavoratori nelle migliori condizioni di spirito (grazie alle quali produrre di più, e meglio).
Può sembrare che sì, se ne parli molto, ma si applichi ben poco: ed in buona parte è vero. O, peggio, può sembrare velleitario parlare di simili argomenti quando a mancare non è tanto il benessere lavoro correlato quanto il lavoro tout court. Ma a ben vedere si tratta solo di due lati della stessa medaglia: questo ambito di ricerca è soltanto uno dei tanti aspetti del fondamentale principio che dovrebbe regolare il lavoro: mettere le persone al centro delle cose (del lavoro, dell’economia, della politica...).
Sono chiari su questo punto Michele Valerio, Massimo Di Vera e Jacopo Pezzetta, autori del volume Benessere lavoro correlato. Esperienze di promozione del benessere organizzativo (ed. Erickson), nel mettere l’accento appunto sugli aspetti pratici della questione: nel volume - oltre alla necessaria e interessante trattazione teorica - troviamo una decina di “buone pratiche” effettuate tra il Trentino, la Lombardia e l’Emilia-Romagna e una Guida operativa a uso di responsabili delle risorse umane, professionisti della salute e della sicurezza, imprenditori.
È tempo di rimettere il lavoro al centro della vita (non perché la vita debba esaurirsi in esso; vivere senza lavorare si può e certe volte si dovrebbe, ma questo è un discorso - affascinante - che ci porterebbe troppo fuori tema). Ed è tempo di chiarire con estrema risolutezza: quando diciamo lavoro, d’ora in poi, non è per dire “qualunque schifo purché retribuito (seppur schifosamente)”. Intendiamo quel lavoro “fatto bene” e che “fa bene” a chi lo compie. Il resto è solo fatica. Quella, se credete, lasciamola alle macchine.


M. Valerio, M. Di Vera, J. Pezzetta, Benessere Lavoro Correlato, ed. Erickson, 2014.

(«Il Caffè», 10 aprile 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano