È il 18 giugno del 1982 quando, sotto al Ponte dei Frati neri, a Londra, un impiegato delle poste ritrova un corpo penzolante da un traliccio: è il cadavere di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, travolto dai debiti e dalle inchieste. Ovvio pensare al suicidio (preceduto da quello della sua segretaria, lanciatasi da una finestra nel pomeriggio del giorno prima). Eppure la cosa non è né così scontata né così evidente: Calvi non aveva attraversato la Manica per andare a togliersi la vita tra gli inglesi, ma per andare a cercare rifugio in attesa di risolvere i suoi problemi con la giustizia e con le cattive amicizie che lo avevano abbandonato in seguito allo scandalo (amicizie che contava di ricondurre a miti consigli tramite… il ricatto). Come? Coinvolgendo tutti: Esponenti eccellentissimi del clero e della mafia, della politica e della massoneria: tutti accusabili da una serie di documenti che aveva portato con sé nella borsa. La quale, misteriosamente, non verrà ritrovata accanto al corpo...
La morte di Calvi - e ancor di più la vicenda della sua borsa - è un mistero tutto italiano che si ricollega ad altri misteri, come quello della morte di papa Luciani, risolutamente intenzionato a mettere ordine nelle finanze vaticane. Un mistero al quadrato, per così dire. Un intreccio nel quale la verità giudiziaria - nella sua purezza procedurale - è costretta a segnare il passo, in favore di una altrettanto necessaria verità giornalistica che non coincide con essa, proprio nel punto in cerca maggiormente di spingersi oltre il dato visibile in maniera “chiara e distinta”, provando ad attingere quel “verosimile” che talvolta è il più vicino al vero della storia vissuta. Nonostante il libro - ben costruito - pubblichi documenti inediti, si rimane scettici di fronte a un’operazione editoriale che va ad aggiungersi al sempre più forte rumore di fondo dei libri più o meno istantanei che parlano dei tanti scandali di questa Italia: fra le mille ruberie, intrighi e malefatte d’ogni specie, quello di Calvi è ormai un caso datato pur nella sua importanza (già quindici anni fa le guide turistiche londinesi sentenziavano: “ecco, questo è il ponte sul quale hanno suicidato Roberto Calvi”). Se certa editoria accademica è disposta a pubblicare le cose meno interessanti sotto il vessillo della “scienza per la scienza”, non si dovrebbe prenderne esempio quando in gioco non è la ricerca ma l’opinione pubblica: qui si rischia di sortire l’effetto contrario, cioè quello di anestetizzare le coscienze (ormai travolte dalla marea dell’informazione e in certo modo assuefatte), anziché risvegliarle. Con la Prefazione di Marco Travaglio.
M. Almerighi, La borsa di Calvi, ed. Chiarelettere, 2015.
(«Mangialibri», 9 aprile 2015)
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