Socrate, Platone, Aristotele: volendo riassumere estremamente (anche nel senso del concentrarne la potenza) la storia della filosofia, si potrebbero fare questi tre nomi. Di che speculare per decenni in lunghissimi tomi; ma se l’esigenza è appunto quella della sintesi, si potrebbe usare un’immagine evocativa: Socrate, desideroso più d’ogni altra cosa di elevarsi verso il Sole della Verità, è un uomo che, ad ogni volo della mente, spicca il salto e cade, perché il suo metodo lo costringe ad andare sempre oltre, senza poter trovare approdo in nessuna conclusione che sia meno che assoluta. Platone, animato dalla stessa ambizione del maestro, ma in certo senso più risoluto, si decide a prendere “l’aerostato” della metafisica: con le idee eterne potrà avvicinarsi - seppur gradualmente - all’astro luminoso del vero. Sarà il suo discepolo e compagno di viaggio - Aristotele - a rilevare che l’aerostato non può spingersi oltre l’atmosfera; che il viaggio è destinato a rimanere incompiuto; e che l’unico rimedio al fallimento è tornare giù con lo stesso aerostato, ma con lo sguardo rinnovato dalle cose viste dall’alto…
Carlo Michelstaedter ha vissuto e ha scritto all’epoca di Nietzsche, e del pensatore di Röcken ha un po’ lo stile immaginifico, basato più sull’esposizione brillante che sulla riflessione cadenzata. Di cui è impossibile negare il fascino, anche se alla fama dell’autore deve aver contribuito in qualche misura la vicenda della morte suicida a ventitré anni. Al di là della suggestiva e originale immagine dell’aerostato (che l’autore scrive “areostato”) della filosofia che si leva nel cielo dell’assoluto, di particolare rilievo è il passaggio sul legame fondamentale tra il filosofare e l’esperienza che ne è alla base.
C. Michelstaedter, L’aerostato della filosofia, ed. Castelvecchi, 2015.
(«Mangialibri», 23 aprile 2015)
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