martedì 31 marzo 2015

Superare la geopolitica del caos. Intervista a Maurizio Simoncelli

Maurizio Simoncelli, storico ed esperto di geopolitica, oltre ad aver pubblicato varie ricerche sull'industria militare e sulle forze armate italiane e ad aver svolto diversi studi sulla geopolitica dei conflitti, presta attività di docenza in numerosi master universitari e corsi d'istruzione superiore. È membro del CISRSM - Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari e vicepresidente (nonché cofondatore) dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD).

Ucraina: com’è la situazione? È un focolaio che non accenna a spegnersi, ormai da anni, proprio ai bordi dell’Europa Nobel per la Pace. Quale ruolo potrebbe avere l’UE?
In questi giorni sembra che la guerra stia conoscendo una tregua e che la mediazione operata dalla Germania e dalla Francia stia ottenendo alcuni risultati positivi, anche se l'omicidio Nemzov non rasserena il quadro generale. Certamente questo conflitto dimostra come i rapporti Est-Ovest in questo periodo non siano facili e che da una parte e dall’altra siano stati fatti una serie di passi incuranti dei rischi che la vicenda ucraina avrebbe comportato. L’Unione Europea, dal canto suo, è un premio Nobel un po’ strano. Se è vero che tale unione ha evitato il ripetersi di conflitti che per secoli hanno lacerato il Vecchio Continente, l’azione esterna dei governi dell’UE non è stata all’altezza del riconoscimento ottenuto, come dimostra il fatto che diversi di essi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Italia, ecc.) non solo sono ai primi posti a livello mondiale come produttori ed esportatori di armi, non di rado in zone calde come il Medio Oriente, ma hanno anche partecipato ad interventi militari che hanno contribuito a destabilizzare diversi stati (basti pensare all’Iraq o alla Libia). E ciò è stato riconosciuto parzialmente anche da Jens Stoltenberg, il nuovo segretario generale della NATO, che in un'intervista a "Repubblica" ha rilevato che la Libia è stata abbandonata a se stessa dopo l'intervento armato. Inoltre, l’UE sconta il fatto che, al di là delle parole, non esiste in realtà una politica estera e della sicurezza comune, come purtroppo dimostra l’assenza della Mogherini – ufficialmente titolare di questo dicastero in seno alla Commissione dell’UE – nella trattativa condotta da Hollande e dalla Merkel con Putin e con Poroshenko. Resistono in questo ambito fortissimi nazionalismi di vecchio stampo, come ha di fatto rilevato anche il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013. L'UE deve operare come promotore di pace e non di guerra.
Si tratta più di una rivolta dei popoli o di una vittoria dei militaristi?
Sono state alimentate spinte politiche nell’Ucraina che hanno portato questo paese nella guerra civile. L’UE avrebbe dovuto ben conoscere la realtà multiculturale e l’importanza dell’Ucraina nel quadro geopolitico russo e si sarebbe dovuta interrogare adeguatamente sulla necessità e sull’opportunità di un ulteriore allargamento dell’unione, unione peraltro già in crisi per conto suo con la crescita degli euroscettici e con le difficoltà economiche non solo della Grecia. Una volta avviatisi sulla strada del braccio di ferro con il governo di Mosca, si è giunti a questo risultato, quasi ci si fosse dimenticati di quello che era già successo alcuni anni fa in Georgia. Si potrebbe dire che sono state alimentate da un lato e dall’altro speranze e rivendicazioni popolari per un braccio di ferro tra Est ed Ovest, che ha portato sinora ad oltre 5.000 morti, oltre ai feriti, ai profughi ecc.
Che ruolo ha la NATO nella crisi? Si parla spesso di guerra della Russia all’Europa tramite l’Ucraina; ma l’opinione di alcuni è che, al contrario, si tratta di un Occidente euroamericano che usa l’Ucraina per muovere guerra a Putin. Cosa ne pensa?
La vicenda dell’Ucraina s’inserisce nel quadro della dissoluzione dell’URSS e della fine del bipolarismo. L’Ucraina, in particolare, è uno stato dove soprattutto nel periodo sovietico la presenza della popolazione russa è cresciuta al punto che tale componente sociale appare oggi non trascurabile. L’Ucraina inoltre, anche dopo la fine dell’URSS, ospitava l’unica base navale militare russa nel quadrante meridionale, a Sebastopoli in Crimea, strategicamente importantissima per Mosca. Infine il territorio ucraino è geopoliticamente rilevante perché vi passano i gasdotti che riforniscono energeticamente parte dell’Europa. La dissoluzione dell’URSS e la progressiva adesione dei paesi esteuropei all’UE e alla NATO ha suscitato in Mosca il timore crescente di un accerchiamento e di un isolamento. Una serie di atti occidentali ha contribuito ad accrescere questi timori: il dislocamento di basi antimissili ai confini della Russia (giustificandoli – con apparente ignoranza geografica – con la necessità d’intercettare i futuribili missili nucleari dell’Iran); l’ammodernamento delle bombe nucleari tattiche statunitensi B61, collocate in Europa presso Olanda, Germania, Italia e Turchia; la decisione di dotare le forze armate aeree occidentali degli F35, cacciabombardieri con doppia capacità convenzionale/nucleare e con caratteristica stealth (invisibilità ai radar). La NATO è andata oggettivamente espandendosi verso est sino a lambire i confini della Russia, che, non facendo parte di tale alleanza militare, avverte ovviamente tale processo come pericoloso.
Qual è il contributo europeo (e italiano in particolare) agli armamenti? Ci sono armi, mine, mezzi militari italiani sul campo?
Non risultano rilevanti forniture europee ed italiane di rilievo all’Ucraina, che, peraltro, è il quinto esportatore di armi nel mondo. Attualmente l’Ucraina è dotata di arsenali prevalentemente ex-sovietici e sinora gli USA hanno solo minacciato di fornire nuove armi, ma questo provocherebbe un’ulteriore escalation nel conflitto. Ci risulta solo che la Francia abbia venduto missili MM-40-3 Exocet e l'Italia siluri A244 324mm antisommergibile e 10 cannoni navali Super Rapid 76mm nel 2010.
Alla fine sembrerebbe assodato che il Boeing 777 malaysiano abbattuto lo scorso 17 luglio sia stato vittima di un missile ucraino. Da noi però non se ne è mai parlato, mentre si ripeteva la falsa notizia che era stata colpa dei russi. Perché?
Si dice che in guerra la prima vittima sia la verità. La storia ci ha insegnato che numerosi sono stati gli episodi reali o falsi utilizzati per giustificare interventi militari altrimenti difficili da sostenere. La vicenda del Boeing 777 malaysiano sembra essere uno di questi: un “danno collaterale”, cioè non voluto, utilizzato da entrambe le parti per mettere in cattiva luce l’avversario. A quanto mi risulta, non è stato ancora pubblicato il report finale dal Dutch Safety Board, l'organismo incaricato delle indagini. Comunque sia, ancora una volta i civili pagano un alto prezzo in vite umane, indipendentemente dall'individuazione dei responsabili.
Che ruolo ha la stampa nello sviluppo della crisi?
La stampa in questo ha grandi responsabilità in quanto dovrebbe mostrare capacità d’informazione indipendente e grande cautela nel veicolare notizie non adeguatamente verificate: basta ricordare, per fare solo un esempio, quanto fu detto rispetto alle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, arsenali in realtà inesistenti, ma che servirono a orientare l’opinione pubblica verso il sostegno alla politica interventista di G.W. Bush jr. La stampa, come è noto, ha un ruolo fondamentale nell’orientare l’opinione pubblica. I nostri mass media sono prevalentemente assai distratti rispetto alle questioni internazionali e ne trattano solo all’esplodere delle crisi, trascurando d’informare adeguatamente sugli sviluppi precedenti. La vicenda ucraina è esemplare in tal senso, venendo presentata semplicisticamente come uno scontro tra i cattivi e i buoni, che saremmo sempre noi. In questi anni non si è cercato di informare sui timori di Mosca e sugli atti occidentali di cui ho accennato prima e che hanno allarmato la Russia. Ovviamente, con questo, non si possono fare di tutte le erbe un fascio dato che diversi giornalisti cercano di fornire informazioni più equilibrate ed approfondite, a volte rischiando anche la propria vita sui teatri di guerra.
Che ruolo potrebbero avere i pacifisti? Verso l’opinione pubblica, ma anche riguardo alla sperimentazione di modelli nonviolenti della gestione del conflitto?
Il variegato movimento pacifista, che non gode di spazi adeguati sui mass media principali, si è espresso sin dall’inizio contro l’inasprimento dei rapporti Est-Ovest in atto in questi anni, contestando – ad esempio- decisamente il programma F35 al punto da riuscire ad imporlo nel dibattito politico italiano e all’attenzione dell’opinione pubblica con un’apposita campagna denominata “Taglia le ali alle armi”. Due grandi manifestazioni nazionali sono state realizzate nel 2014 a Verona e a Firenze, per ribadire il no a questi e ad altri conflitti. Attualmente è in atto anche la campagna per una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione di un Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta (promossa congiuntamente da CNESC, Sbilanciamoci, Forum Nazionale Servizio Civile, Rete Italiana Disarmo e Rete della Pace), mentre si sta avviando per un triennio una sperimentazione ufficiale dei corpi civili di pace con l’organizzazione di 500 peaacekeeper da utilizzare in situazioni di tensione.
Qual è la posizione di Archivio Disarmo su tale questione?
Archivio Disarmo è un istituto di ricerche internazionali autonomo ed indipendente, non è un’organizzazione politica e pertanto non propone programmi politici propriamente detti. I dirigenti e i ricercatori dell’istituto, pur nella pluralità delle posizioni personali, sono accomunati dall’impegno nell’ambito della ricerca e dello studio sulle questioni attinenti i conflitti e le modalità per risolverle. Evidenziamo sia le possibilità di soluzioni alternative pacifiche – attraverso interventi di peacekeeping - sia i rischi di possibili escalation, documentando come, ad esempio, forniture indiscriminate di armi contribuiscano ad accrescere l’instabilità di determinate aree e non ad aumentarne la sicurezza, come nel caso evidente del Medio Oriente. Ad esempio, analizziamo criticamente programmi come quello dei cacciabombardieri statunitensi F35 della Lockheed Martin, che, oltre ad avere costi faraonici, sono un siluro per l’industria europea della difesa, ponendosi in concorrenza con l’Eurofighter (da noi coprodotto). Attraverso ricerche, analisi ed attività formative Archivio Disarmo cerca di diffondere una conoscenza scientifica dei temi della sicurezza interna ed esterna, dei conflitti armati e del disarmo al fine di sensibilizzare i politici, i mass media e l'opinione pubblica.
C’è da temere che questo conflitto russo-ucraino possa arrivare a coinvolgerci direttamente in qualche modo?
Il conflitto ci ha già coinvolto, quanto meno economicamente con le sanzioni imposte contro la Russia che hanno ripercussioni anche sulle nostre imprese che esportavano verso Mosca. Comunque, se i diversi attori in campo, UE, USA e Russia in primis, nonché il governo ucraino, non si rendono effettivamente conto che la soluzione deve essere politica con un compromesso che cerchi di rispettare le esigenze di tutte le parti, il pericolo che il focolaio possa far esplodere la polveriera esiste realmente. Già combattenti non ucraini si affrontano su quel territorio: avviare una guerra è molto più facile che arrestarla. Obama ha minacciato di fornire armi moderne a Kiev. Non dimentichiamo che alcuni uomini politici e media facilmente soffiano sul fuoco per ritagliarsi una propria visibilità, approfittando anche del fatto che il governo di Putin non è un esempio della massima democrazia e del rispetto dei diritti, come denunciano Amnesty International e Human Rights Watch e come purtroppo testimonia l'eliminazione giuridica o addirittura fisica di giornalisti ed oppositori politici (dalla Politkovskaja a Nemzov).
Quale speranza di una composizione pacifica? E, soprattutto: cosa potremmo - o forse dovremmo - cominciare a fare per potercela augurare?
Non vi sono alternative alla pace. Non si può immaginare uno scontro armato tra Est ed Ovest che non comporti il reciproco suicidio (la vecchia Europa lo ha fatto ben due volte con le guerre mondiali nel secolo scorso, emarginandosi così sulla scena internazionale). Probabilmente occorrerà concedere qualche forma di autonomia alle aree ribelli russofone, come saggiamente l’Italia ha fatto rispetto alla questione del Sud Tirolo/Alto Adige nel secondo dopoguerra, scongiurando il terrorismo locale. Occorre che si comprenda che la sicurezza e la pace sono comuni, di tutti e non solo di una parte dell’Europa. È con la Russia che si deve cooperare (contribuendo sempre più al suo percorso verso una moderna democrazia), anche alla luce della crescente minaccia dell’integralismo islamico che può destabilizzare i già traballanti equilibri mondiali. All’attuale geopolitica del caos, dove il multilateralismo di numerosi attori internazionali non appare rispondere alle sfide del XXI secolo (cambiamenti climatici, movimenti migratori, criminalità organizzata ecc.), va sostituito un nuovo ordine mondiale rinforzando e rivitalizzando l’unico strumento della legittimità internazionale, cioè le Nazioni Unite, da anni depotenziate e relegate ai margini della scena politica globale. Altrimenti ci troveremo di volta in volta a confrontarci con iniziative politiche internazionali a geometria variabile (NATO, UE, OSCE, coalizioni di volenterosi, Lega Araba e così via) le cui azioni estemporanee possono contribuire a destabilizzare anziché rafforzare la legittimità mondiale.
(«l'Altrapagina», marzo 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano