La distribuzione del reddito è un argomento di attualità tra la gente. Il dibattito sulla differenza tra chi guadagna poco (e a suo dire - magari non senza ragione - lavora e fatica) e chi guadagna molto (senza fare “un tubo”, come si dice spesso con altrettanta ragione) è all’ordine del giorno e sembra che in certi luoghi di lavoro non si riesca a parlare d’altro (oltre che del calcio, ça va sans dire). Curiosamente però, lo stesso dibattito è assente dall’arena politica e mediatica dell’Occidente. Nei casi più fortunati - quando proprio qualcuno è in vena di “dire qualcosa di sinistra” - si tira fuori l’idea di qualche aiuto alle famiglie, bonus sociali di vario tipo, riduzioni e sconti alla spicciolata (come se la vita fosse una specie di grande cinema). Ormai è chiaro a tutti come i ricchi stiano diventando sempre più ricchi (e i poveri, per converso, sempre più poveri); Alla balla della marea (l’economia) che sale e innalza tutte le navi… non ci crede più nessuno. Come mai allora questo problema non è all’ordine del giorno di tutte le agende politiche dei Paesi sedicenti “sviluppati”?
È la domanda che, tra le altre, si pone Branko Milanovic, economista della Banca mondiale e docente all’Università del Maryland, nel suo Chi ha e chi non ha. Storie di disuguaglianze (ed. Il Mulino). Che mette in luce - attraverso un’analisi dotta ma non specialistica, raffinata e puntuale ma accessibile a tutti - una fondamentale verità: con tutti i suoi discorsi sull’aumento complessivo del PIL e nient’altro, l’economia si comporta come se avesse a cuore solo le sorti delle sue cifre, e non le sorti degli uomini che da quelle cifre dovrebbero trarre il loro benessere reale. È evidente infatti che una maggiore uguaglianza (peraltro promessa dallo stesso capitalismo che la nega, con il suo slogan ancor oggi sbandierato: “Saremo tutti ricchi!”) sia la condizione necessaria ad ogni sano sviluppo personale e sociale. Milanovic, con grande competenza, esamina la storia della distribuzione nel reddito dall’antichità ai giorni nostri, attraverso le rivoluzioni, i socialismi, le tante storie di organizzazione e sfruttamento che l’umanità ha conosciuto finora. Riuscendo a spiegare alla gente comune le ragioni (e le colpe) dell’economia; e agli economisti (soprattutto agli amici dei politici), parafrasando il Vangelo, che non l’uomo è per l’economia, ma l’economia è (deve essere) per l’uomo.
(«l'Altrapagina», marzo 2015)
martedì 31 marzo 2015
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