Entriamo subito nel vivo: di che parla "L'antiquario di Brera" (ed. Frilli) e come è nata l'idea?
È un libro che nasce dalla mia esigenza di tornare al noir dopo alcuni anni di assenza e di farlo con un personaggio assolutamente nuovo, ma che è frutto indubbiamente della mia esperienza di saggista maturata in questi anni. Volevo un personaggio diverso dal precedente, difficile da gestire a livello mediatico ( un incallito xenofobo, iracondo, incline a pratiche sessuali non particolarmente convenzionali), capace di rompere gli schemi del comune pensare, un nemico del perbenismo diffuso di stampo democratico. Naturalmente oltre a queste “doti” il nuovo personaggio, al secolo l’antiquario milanese Neri Pisani Dossi, è capace di disorientare ulteriormente il lettore con atti di profonda umanità quando egli meno se l’aspetta.Questo libro si ispira al celebre caso di Vincenzo Verzeni, il "vampiro della bergamasca": quanto c'è di storico e quanto di romanzesco in questo libro?
Il Verzeni rappresenta un validissimo spunto storico e la sua vicenda è vera. Una sorta di buco temporale sulla morte del Verzeni mi ha dato lo spunto per la mia storia che ci riporta ai giorni nostri, alla Brera di oggi, alla realtà di un quartiere della movida milanese. Nella storia ho inserito negozianti, baristi, ristoratori veri e non fittizi. Posso dire che il novanta per cento dei personaggi del libro sono veri e facilmente individuabili. Quindi si parte da una storia a cavallo tra Ottocento e Novecento per giungere, attraverso un filo misterioso, nella Milano dell’Expo.Un giallo, un gotico, un horror? Qual è l'etichetta più giusta per questo noir frequentato da spiriti, esseri infernali ed esorcismi?
Direi un noir gotico moderno, duro, senza fronzoli, che trasuda però anche tanta ironia e sesso. Mi diverte essere dissacrante anche nelle situazioni peggiori, esattamente come Neri Pisani Dossi…è lì che il perbenista rifugge e il lettore rimane e si gode le battute anche più nere e di cattivo gusto. Il mio è un noir che piace o non piace credo, ma di certo ha un’impronta mia personale.Ha scritto diversi libri sulla stregoneria (è appena uscito il Suo Triora. Il paese delle streghe, ed. Frilli). Cos'è che La appassiona tanto in questo argomento? E cosa può esserci di tanto stregonesco in questo paesino ligure di 400 abitanti?
Triora è un po’ il mio punto di partenza, un paese che mi ha dato tanto, la passione per la storia e per lo scrivere. Il processo per stregoneria che lì avvenne è un fatto storico. Dai primi libri dedicati a Triora o lì ambientati è passata tanta acqua sotto i ponti come si dice, ho fatto parecchie esperienze che spero mi abbiano migliorato come scrittore.Ha pubblicato, anche recentemente, con diversi marchi editoriali di spicco (Newton Compton, Mursia, Castelvecchi). La maggior parte però con Frilli: perché?
Frilli è un piccolo, ma grande editore nel senso più profondo del termine. Se un tempo non aveva magari una distribuzione capillare ora ce l’ha e crede nei suoi autori. Spesso altri editori più blasonati credono nei titoli che si propone loro e con essi si instaura un mero rapporto contrattuale. Con Frilli si può parlare, discutere, si ricevono anche critiche costruttive, e si vanta un supporto umano che oggi è più prezioso di qualsiasi altra cosa.Negli ultimi tre anni ha pubblicato cinque libri, due dei quali hanno già esaurito la tiratura. Cosa ha in programma per il futuro? Un altro noir?
Un noir. Il seguito de L’Antiquario di Brera. Sarà un noir ancora più duro, estremo e spero riflessivo. La mia idea è di continuare in questa direzione, migliorare a livello letterario e raccontare storie che facciano riflettere. Forse.(«Pagina3», 23 marzo 2015)