Il corpo della donna (come quello di ogni essere umano) non è una merce, o almeno non dovrebbe esserlo: siamo tutti d’accordo. Per questo motivo non dovrebbe venir esposto al pubblico ludibrio, che fa venir voglia, appunto, di trattarlo come un oggetto: possiamo convenire anche su questo. Ma tali convinzioni non nascono dal nulla; affondano invece le radici in una convinzione ancor più fondamentale: ogni essere umano va rispettato per quello che è. E l’unico modo per tradurre nel concreto questo proposito è la libertà: ogni uomo (o donna) va lasciato libero di scegliere ciò che reputa meglio per sé, e nessuno va costretto in alcuno modo, tanto meno con l’odiosa scusa che “è per il suo bene”. Nessuna espressione è più odiosa di quella; tranne forse soltanto: “è così perché lo vuole Dio”...
Amina Sboui aveva diciotto anni quando ha dato in pasto al mondo, via internet, la sua foto a seno nudo con la scritta: “Il mio corpo mi appartiene”. Amore per lo scandalo, o rivendicazione libertaria? Di fatto, quel che ne è seguito - dalla carcerazione all’adesione a Femen, dalla fuga a Parigi al sostegno alla causa dei gay - sembrerebbe indirizzare verso la seconda ipotesi: se il mio corpo deve essere rispettato in quanto non è oggetto della volontà di nessuno - sostiene Amina, in accordo con la religiosità tunisina - non deve essere neanche oggetto delle prescrizioni degli integralisti. Questo libro - scritto in francese con l’aiuto di Caroline Glorion - è il manifesto di una donna giovanissima il cui amore per l’indipendenza ha saputo sfidare il potere politico-religioso del suo Paese. Una bellissima lezione di autenticità e di coraggio, dedicata “ai cittadini del mondo e a tutti quelli che credono nella pace”.
(«Il Caffè», 27 febbraio 2015)
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