Prima del recente successo greco, in occasione del superamento della soglia del 4% da parte della Lista Tsipras alle europee, il celebre blog comico Spinoza.it aveva commentato: «Tsipras trionfa in Molise. Che si riconferma terra dell’utopia». Non è per ironizzare sul Molise che citiamo questa battuta; ma per ricordare che la lista “L’altra Europa” è entrata nel parlamento europeo quando nessuno ci avrebbe scommesso. La lista italiana di Tsipras, agganciata alla greca Syriza, ha smesso in quel momento di essere un’utopia, ed è diventata una realtà. È una cosa che in italiano va specificata; perché la nostra lingua tratta la parola “utopia” come sinonimo di “irrealizzabile” anziché, come nella sua concezione originaria - quella dell’omonimo classico di Moro - come qualcosa di altamente desiderabile, che - purtroppo - non c’è ancora in nessun posto. Ora, così come l’utopia di Tsipras non si è realizzata improvvisamente da sola - bensì con il lavoro delle tante persone che vi si sono prodigate, dai candidati agli uffici stampa, dagli intellettuali che l’hanno sostenuta al popolo che l’ha votata - allo stesso modo tutte le utopie hanno bisogno, per poter divenire reali, che qualcuno creda in esse e che si rimbocchi le maniche per costruirle, mattone dopo mattone.
Luigi Zoja, psicanalista junghiano di fama mondiale che ha dedicato il suo ultimo libro (Utopie minimaliste, ed. Chiarelettere) all’argomento, ha sottolineato che questo momento storico non è quello della fine delle utopie: è vero, le utopie (soprattutto quelle più cruente) ci hanno deluso, ma questo non è un buon motivo per abbandonarne lo slancio e l’opportunità; non dovremmo insomma rinunciare alle utopie, ma solo agli errori che le hanno accompagnate. Tenendo presente che non tutte sono uguali: le utopie massimaliste, quelle basate su progetti ideologici intransigenti, sono fallite per intrinseca inadeguatezza (e per essersi messe nelle mani di singole personalità carismatiche altrettanto intransigenti). L’utopia di oggi invece, spiega il professore, dev’essere minimalista, affidata cioè a gesti quotidiani, diffusi e tenaci, senza eroismi, ma con la consapevolezza che nel grande film della vita ogni comparsa ha la sua indispensabile unicità. In questo senso il nemico dell’utopia non è - come erroneamente si crede - la realtà con le sue tante inerzie e imperfezioni; il nemico dell’utopia è la sfiducia, che crede che la realtà non potrà mai rigenerarsi, e la disperazione di quegli uomini che non credono al potere delle loro azioni. Eppure il successo di Tsipras, in Grecia e in Europa, mostra senza dubbio che le azioni dei singoli hanno un peso, altroché. E ora Tsipras non è più un’utopia, ma una realtà. Può piacere o meno, ma non è questo il punto: il punto è che anche il più nuovo, il più inimmaginabile, il più fuori contesto… può diventare reale. Non è vero che “non c’è alternativa al capitalismo”, come urlano dai loro megafoni i liberisti di tutto il mondo con uno slogan stupido oltre che falso. Dovremmo cominciare a ragionare per utopie, invece che per obiettivi. Tutti i giorni. Fino al punto di percepire l’espressione “utopia concreta” come un pleonasmo. Quale utopia avete in mente: reddito di cittadinanza? Acqua pubblica? No al nucleare su scala globale? Smantellamento di tutti gli eserciti? Sarebbe bello incontrarci un giorno al bar, dopo averle realizzate tutte, e poter stappare una bottiglia brindando fra noi: “E adesso? Quale utopia realizziamo?”
(«Il Caffè», 20 marzo 2015)
venerdì 27 marzo 2015
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