Papa Francesco: una parola per descriverlo.
Ce ne vogliono almeno due: è un “leader carismatico”. Non tanto per quello che fa in prima persona, ma per quello che ci si aspetta da lui, un po’ in ogni parte del mondo, anche qui in Europa, dove si spera nella sua opera per venir fuori dalla sfiducia che sembra ormai avvolgere ogni ambito dell’esistenza, dall’economia, al lavoro, al futuro in generale. Ed è un leader nel senso che lui riesce effettivamente a smuovere le masse e a suscitarne l’entusiasmo: sono molte le simpatie che la gente ha per lui.Suscita però anche molte antipatie: i suoi tanti detrattori sono del parere che lui tenda a mettere in ombra gli aspetti più spirituali e tradizionali, solo per esaltare quelli più emotivi e mediatici.
Sotto questo aspetto il paragone più calzante andrebbe fatto con Giovanni Paolo II: anche lì emergeva un leader per il quale l’immagine contava molto A differenza dell’altro però, papa Francesco riflette una religiosità molto più “popolare” (che ha ben poco del bigotto e del moralistico di cui i tradizionalisti sentono la mancanza), probabilmente anche per la sua storia, in quanto figlio di emigrati, e in quanto argentino. Ora, si può muovere a Bergoglio tutta la critica che si vuole; ma certo non si può sostenere che dietro il suo modo di porsi non vi sia una carica spirituale profonda e consapevole. Può piacere o non piacere: magari, come tutte le spiritualità in grado di “rovesciare” qualcosa, può incutere sospetto, se non timore; ma certo non si può dire che non vi sia alcuna spiritualità, o che sia tutto frutto di una superficialità fondamentale. Forse non si è abbastanza abituati a una spiritualità che - invece di fondarsi sul magistero e sulla speculazione teologica classica - si basi sulla misericordia e sulla compassione. Io sono quindi del parere che lui abbia non solo una certa spiritualità, ma che sia quella di un tipo ben preciso: è la spiritualità del popolo, che per questo si riconosce tanto bene nelle cose che sente da lui.E, come dicevamo prima: ce n’è un gran bisogno.
Esatto. È questo un tempo in cui la gente vuol sentire non tanto una parola nuova - come si dice spesso in quella politica fasulla che cerca con questo aggettivo di camuffare il proprio essere eternamente uguale a se stessa - ma una parola anche vecchia che però, come quella primordiale del Vangelo, sia in grado di toccare il cuore della realtà, della vita e delle sue difficoltà piccole e grandi. Il problema della gente è la sofferenza, non la dottrina. Forse è questo che sfugge ai tanti tradizionalisti; che snobbano il popolo e le sue specificità solo perché - dall’alto delle loro quieti - se lo possono permettere. Tornando dunque alla prima domanda: papa Francesco è il leader che la gente voleva. Un leader spirituale. A differenza di Giovanni Paolo II: che a me è sempre sembrato invece molto concreto, sì: ma poco spirituale.E come intenderebbe la differenza tra papa Francesco e il precedente papa Benedetto?
(Sorride) Questo discorso meriterebbe un approfondimento a parte. Io ho sempre avuto la sensazione che Ratzinger fosse un “falso esteta”, che dietro tutta l’eleganza dei modi e delle parole creasse una facciata che nascondeva brutture ecclesiali di provenienza antica. La differenza comunque potremmo dire che risieda in questo: Ratzinger si collocava nell’alto della sua teologia raffinata; Bergoglio invece preferisce la quotidianità alla dogmatica. Bergoglio si sporca le mani, affronta le cose, anche per tentativi, magari anche sbagliando: ma in questo sforzo credo che risieda la sua cifra più autentica e unica. Volendo semplificare le cose, potremmo forse dire che papa Benedetto sta a papa Francesco come la testa sta al cuore.Del resto Bergoglio, dal punto di vista teologico, non si può certo dire che sia un apostata.
Tutt’altro: anzi, a mio avviso, non è neanche così tanto innovativo come si vorrebbe far credere. Purtroppo i nostalgici conservatori si scandalizzano per molto poco: per nulla gridano al cattocomunismo o alla teologia della liberazione o al revisionismo dottrinario. Mentre al contrario, proprio nella teologia, mi sembra che questo papa provochi ben poche trasformazioni: è un ambito, come dicevamo, che si trova sullo sfondo della sua azione attuale. È un fatto che oggi noi teologi e teologhe siamo più liberi di fare “il nostro mestiere”: possiamo avanzare proposte e portare avanti una prassi teologica diversa; ma non mi sembra che al momento si siano discusse istanze tali da modificare significativamente, se non di ribaltare, l’assetto teologico attuale. C’è più spazio per parlare degli omosessuali, delle coppie separate, delle donne (anche se non quanto desidereremmo), e noi sappiamo che c’è uno spazio in cui è possibile entrare. Rimane però una debolezza: tutte queste categorie di cui pur si comincia a parlare, sono ancora ben lontane dal diventare “soggetti” teologici, rimangono degli “oggetti” d’indagine teologica cui eventualmente concedere il privilegio della revisione di qualche vecchio divieto. È nuovo dunque il fatto che se ne possa parlare; ma non è nuovo il modo di concepirli e di rapportarsi con loro. L’apertura di questo spazio è certamente un merito innegabile di questo papa; ma noi ancora non sappiamo cosa potrà succedere grazie a questa apertura. Può darsi che prima o poi arrivi un invito a partecipare a un dialogo più ampio con gli altri teologi, le altre religioni; ma al momento, “gli altri” (mi ci metto anche io, in quanto donna) restano sempre un oggetto della “benevolenza” dei cristiani. Il problemacontinua la teologa
infatti non è lui, che potrebbe anche stare da tutt’altra parte: il problema è quello della struttura che lui rappresenta (e che lo ha espresso, eleggendolo), e che rimane ancora una struttura medievale, che andrebbe abbandonata: ci vorrebbe il coraggio di qualcuno che, dall’interno, ne denunci l’inadeguatezza e abbia il coraggio di abbandonarla, lasciandosi alle spalle un immaginario ormai lontano anni luce dalla realtà. In questo senso Bergoglio continua - pur nella sua novità - ad essere un esponente di questa vecchia scuola. È stato bello vedere papa Francesco che saluta facendosi chiamare “vescovo di Roma”, rinunciando a un vieto trionfalismo, ma non è sufficiente.Quindi Bergoglio ci dà uno “spuntino” di innovazione ma ci lascia con l’acquolina in bocca, per così dire? C’è la prospettiva di un’ulteriore slancio di rinnovamento per il futuro del suo pontificato?
Bergoglio ha aperto una piccola porta; ed è stato un grande gesto. Probabilmente da qui potrà uscire qualcos’altro - l’abbandono di certe esteriorità e di certe storture - è quello che ci auguriamo. Il mio timore è che anche un suo slancio originale possa finir soffocato nella presa del suo successore, al quale i conservatori si affretteranno a chiedere dieci passi indietro per ogni passo avanti compiuto da papa Francesco.Non resta che disperare?
Al contrario, questo papa è motivo di grande speranza. Ma questa speranza non viene da lui: bensì dalla possibilità che lui dà a noi di entrare sulla scena religiosa, spirituale, teologica, sociale, politica… da protagonisti. Quello che manca veramente adesso non è il suo prossimo intervento a favore di questo o contro quello; quello che manca è il nostro impegno in prima persona per trasformare il cristianesimo in qualcosa che sia adatto alla vita dei credenti del terzo millennio. Se ci accontenteremo del leader, dal quale ci aspettiamo il cibo già cotto… non cambierà niente di importante.Ci sta dicendo che auspica un Vaticano III?
(Ride) No, con quei cardinali lì proprio no. In realtà non credo più, in generale, in questo tipo di struttura: non riesco a figurarmi come il soffio dello Spirito possa arrivare, nel 2015, in questo modo. Non che manchino tra i cardinali dei giusti e anche dei santi; ma si tratta di qualche eccezione. E poi finisce che ci invitano tutti, teologi e osservatori, come nel II, ad “ascoltare”, ma senza poter dire neanche una parola. Un nuovo concilio sarebbe solo uno spreco di denaro; spero che ne facciano a meno.Tornando allo stile di Bergoglio: potremmo forse dire che, pur lasciando intatta la teologia, stia procedendo a un rinnovamento della pastorale (che è sempre l’ultima a trarre giovamento dalle novità)?
Non saprei; e per ora non mi sembra. Perché a mio avviso lui ha una pastorale molto popolare, di consolazione, ma non che stimoli una rilettura esistenziale della teologia. Qui mi pare che resti su posizioni consolidate - si pensi a come parla ai poveri, che tratta sempre da oggetti della sua benevola considerazione. Un po’, in verità, è anche colpa di noi teologi, che abbiamo ristretto la nostra riflessione a un ambito per tecnici e specialisti, tagliando fuori quelli che dovrebbero invece nutrirsene direttamente: cioè tutti. E c’è un’altra cosa che non mi è proprio piaciuta di questo papaci dice ancora,
quando disse a noi religiose di “non essere come zitelle”: mi sembrò di sentire il solito linguaggio maschilista nei confronti delle donne. Mi confermò quello che penso: su certi punti anche lui rimane il classico prete che pensa all’antica. Che in questo caso significa pensare male. Un po’ è anche il suo stile (che poi è un po’ lo stile argentino), che si alimenta di toni caricaturali o molto carichi; ma rimane per me uno stile attraverso cui passano anche certi pregiudizi.Se volesse esprimere una speranza, che possa concretizzarsi grazie a papa Francesco?
La mia speranza - l’augurio che io rivolgo all’umanità intera - è che la Chiesa si separi completamente e definitivamente dal Vaticano. L’augurio di una Chiesa che si svincoli dall’ambizione del potere… e recuperi tutta la sua libertà.(«l'Altrapagina», febbraio 2015)