Tornano in medioriente (e, per reazione, un po’ in tutto il mondo) gli integralismi religiosi, che hanno poco o nulla della rinascita con la quale vorrebbero rpesentarsi e molto del cadavere riesumato. La vecchia impostazione della religione “privata” (nelle tante forme del popolo eletto, dello stato teologico ecc.) non resiste più, non solo alla critica filosofica interculturale, ma all’assetto di un mondo globalizzato in cui è sempre più chiaro che abbiamo bisogno gli uni degli altri perché nessuno possiede le soluzioni generali ai problemi che sono di tutti (da quello ambientale a quello economico). Attardarsi in rivendicazioni di supremazia o di chiusura è dunque fuori contesto; soprattutto se si pensa che il modello cristiano dell’apertura “cattolica” - cioè riservata a tutti, nessuno escluso - risale appunto almeno ad Agostino. Borghesi, docente di Filosofia morale a Perugia, lo mette bene in luce sottolineando come la teoria per un incontro tra le religioni - altro che scontro di civiltà! - sia pronta da quasi due millenni e non resti che applicarla: punto di partenza per questa operazione, la critica della teologia politica attraverso le impostazioni di autori come Peterson, Ratzinger, Maritain, Sturzo-Dossetti-De Gasperi, Carl Schmitt. Il Dio degli eserciti ha fatto il suo tempo; adesso è l’ora del Principe della pace. La fede non basta. C’è bisogno di idee più chiare al riguardo.
M. Borghesi, Critica della teologia politica, ed. Marietti, 2013.
(«Mangialibri», 27 febbraio 2015)
