lunedì 2 febbraio 2015

C. Brancaccio, E la sera la calma paura dei gatti, ed. Eva, 2014

Eva
Claudio è un giovane come tanti, che ama ritrovarsi al bar con gli amici e prendere il suo rituale caffè macchiato in tazza di vetro. Se capita - perché no? - dare un’occhiata al via vai di ragazze che si offre alla vista degli avventori. Lui però qualcosa di diverso dagli altri ce l’ha: ama la poesia. O meglio: ama la buona poesia, quella dei grandi, in specie italiani, quella che ti fa “tremar le vene e i polsi”. Soprattutto se si tratta di poeti che hanno molto sofferto - magari a causa della loro omosessualità - e che hanno saputo trarre da quella sofferenza nutrimento per la loro arte eccelsa. Un po’ si rivede in loro, li sente vicini, si immedesima: perché anche lui vorrebbe essere uno scrittore. Lo ha capito, senza ombra di dubbio, quando aveva solo quindici anni…
Carmine Brancaccio, napoletano trentasettenne, ha pubblicato diverse raccolte di poesia (la prima nel 1997), di cui una premiata nel 2006 e un’altra uscita in edizione bilingue italiano-esperanto. Non è dunque un esordiente, ma purtroppo questo suo romanzo, epistolare a metà, possiede tutti i limiti e i difetti dell’opera del dilettante: il protagonista è lo specchio dell’autore (con il solito scrittore alle prese con i patemi dell’ispirazione), il libro è infarcito di citazioni da altri scrittori - tra cui Oscar Wilde, il nome del cui capolavoro viene storpiato proprio nella prima pagina… In più, l’ortografia del dialetto napoletano è tutta sbagliata; e nessuno a Napoli dice: «Certamente, qui sopra o’ pigliammo tutti accussì». Troppa compiacenza da parte dell’editore finisce per non giovare né a questi, né all’autore.


C. Brancaccio, E la sera la calma paura dei gatti, ed. Eva, 2014.

(«Mangialibri», 2 febbraio 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano