domenica 1 febbraio 2015

Alleanze a rischio. Intervista a Giulietto Chiesa su medioriente, USA e NATO

Giulietto Chiesa, giornalista, ha collaborato negli anni con diversi telegiornali nazionali, oltre a molte importanti testate italiane (tra le quali «il manifesto» e «Limes») ed è stato corrispondente da Mosca per «La Stampa» e «l’Unità». Fondatore del sito Megachip (www.megachip.info), dedicato alla democrazia nella comunicazione, è autore di parecchi libri pubblicati con gli editori Feltrinelli, Piemme, Fazi. Per l’Altrapagina ha pubblicato: AA.VV., La crisi della democrazia (2006) e Il ritorno della guerra (2005).

Entriamo subito in argomento: come sta la situazione in medioriente?
La situazione è legata a mio avviso al problema della successione americana: gli Stati Uniti - con il rafforzamento del potere dei repubblicani - calcheranno ancora più la mano in medioriente ai fini, come sempre, del perseguimento dei loro interessi, che sono quelli dello scontro con la Russia e con la Cina. Se questa valutazione è giusta la tensione nell’area non potrà far altro che aumentare, soprattutto se si considera che non tutti i giocatori “pro-USA” sono perfettamente allineati, in primo luogo l’Arabia saudita, ma anche il Qatar e Israele. Altra entità indipendente - anche se formalmente alleata - è la Turchia, i cui obiettivi sono ben diversi da quelli americani: Erdogan ha mire molto ampie per quanto riguarda il predominio turco sull’intera regione (compresa la più urgente per lui: quella di non far rinascere - ma meglio si direbbe: non far “nascere” - lo stato curdo). Il che non ha impedito - ciò si dica per render ragione della complessità delle dinamiche in gioco in medioriente - alla Turchia di allearsi con gli altri filoamericani per liquidare la Siria, con una tattica apparentemente contraddittoria che si spiega però alla luce di una strategia volta ad aumentare l’influenza turca complessiva.
Mentre non si intravede nessun segnale di pacificazione.
Al contrario: se lo scenario è questo, si può prevedere, a seguire, l’indebolimento dell’Iran e di tutti i suoi amici (con la liquidazione della Siria e, in cascata, di Hezbollah e di Hamas) e l’avvio di uno scontro in cui - dal punto di vista “religioso”, per così dire (il movente religioso è solo un paravento) - c’è lo scontro tra i sunniti e gli sciiti, mentre d’altro canto persiste la determinazione ferrea di Israele nel voler liquidare gli sciiti iraniani, considerati il pericolo principale per la propria esistenza. Ci si potrebbe domandare: perché appaiono qui tanti protagonisti, tutti ugualmente rissosi o quanto meno restii a una composizione? La spiegazione è semplice: comincia a serpeggiare l’idea che gli Stati Uniti stiano perdendo il loro ruolo di dominatore mondiale. Quindi accade che tutti quelli che si sentivano protetti da loro si sentano ora molto più vulnerabili di prima, il che li costringe a venir fuori in prima persona; ma, non potendo imporsi come leader - nessuno ha la forza per emergere da solo - si cerca di incentivare il caos e di approfittarne per guadagnare qualche posizione che possa tornar utile domani.
Messa così sembra quasi che dovremmo rimpiangere l’imperialismo statunitense.
Non è in questione cosa piace o meno a noi, ma in che maniera la realtà si offre oggi all’analisi. Un po’ come quando, per decenni, l’Occidente non desiderava altro che l’abbattimento dell’URSS; poi l’“Orso” russo è stato abbattuto e la situazione, invece di migliorare, è peggiorata (come vediamo).
La questione potrebbe non essere confinata al solo medioriente.
In un certo senso, poiché l’impero americano era planetario, anche il suo disfacimento lo è; quindi non vi sono potenzialmente “zone franche” in cui è garantito che il conflitto non si allarghi. Quello che si rileva, ahinoi, è che le classi dirigenti di tutto l’Occidente si mostrano spesso incapaci di guardare più in là del proprio naso. Debolezza che risalta maggiormente a confronto con i poteri asiatici emergenti, soprattutto quello cinese, ma anche con l’antico potere russo che, per certi versi, si mostra più intelligente e raffinato di quanto l’Occidente sia in grado di capire. Questo significa
continua il giornalista,
che non è escluso che lo scontro possa estendersi anche all’Europa. Poiché l’obiettivo di sempre degli USA è lo scontro con la Russia, il mezzo per ottenerlo è costringere l’Europa a entrare in guerra al loro fianco: se l’Europa cederà alla richiesta, verrà trascinata nel conflitto. È già successo nella recentissima “crisi ucraina”, dove questa nazione è stata usata - con l’appoggio dell’Europa - come un bastone per colpire la Russia. Esito: un Paese di 45 milioni di abitanti, di grande estensione, in mano a un gruppo dirigente di nazisti (e russofobi) incapaci di qualunque decisione. Di fatto, è un protettorato, che non ha la minima idea di cosa siano le regole europee ed è in bancarotta totale. La cui unica aspirazione è diventare l’avamposto dell’invasione - anche militare - europea alla Russia. Tuttavia, nulla è già scritto: c’è ancora posto per un rovesciamento fondamentale dei rapporti di potere in Europa, che dia preminenza alle esigenze dei popoli e non a quelle delle alleanze politiche e militari.
Uscendo per un attimo dall’Europa: cosa dire dell’ISIS, forza terroristica cui non importa di essere invisa a tutti, e di farsi ogni giorno nuovi nemici tramite i suoi gesti estremi dall’apparenza immotivata?
Bisognerebbe cominciare a capire da cosa è nata questa forza che chiamiamo ISIS, creazione artificiale voluta a tavolino: nessuno può credere che un esercito come questo, di centomila uomini, possa nascere su un moto spontaneo di fanatismo religioso. È evidente che dietro a questo fenomeno ci siano una o più mani dispensatrici di gigantesche quantità di denaro: il fanatismo da solo non crea né i carri armati né le comunicazioni, che al momento permettono all’ISIS di tenere sotto scacco un terzo della Siria. Quello che stupisce veramente non è il fanatismo o la barbarie di certi individui o di certi gruppi; stupisce che in Occidente nessuno si ponga la domanda-chiave: chi paga tutto questo?
La Sua ipotesi?
La mia ipotesi - che non è una opinione privata, ma una ricostruzione basata su fatti verificabili da tutti, ormai a disposizione dei media - è che l’Arabia saudita e il Qatar, con la collaborazione diretta dei servizi segreti americani, abbiano creato l’ISIS. Non dal nulla, è chiaro; i germi erano già presenti nel cosiddetto “Esercito siriano libero”, nell’ambito del quale qualcuno ha pensare di selezionare i tagliagole migliori cui fornire ampie dotazioni militari, logistiche e mediatiche. Con l’obiettivo di far fuori il regime siriano di Bashar-el-Assad. In questo l’ISIS non è nulla di nuovo: abbiamo già visto le stesse dinamiche, ad esempio, in Kosovo (lì ad opera della Turchia e della CIA). E farà la solita fine che fanno tutte le forze create a bella posta in questo modo: quando non servirà più, una volta conseguito l’obiettivo dei suoi creatori, verrà smantellata, magari tramite l’eliminazione fisica dei capi del movimento.
I servizi segreti potrebbero avere qualche difficoltà in tal senso.
Direi proprio nessuna: i servizi segreti del terzo millennio - penso ad esempio all’Agenzia statunitense per la sicurezza nazionale, la famigerata NSA - sono giganti (per non dire mostri) che hanno il potere di stati interi e non si limitano più ad operazioni di “accompagnamento” alla politica: la loro è l’azione politica fondamentale, cui la politica statale “ufficiale” si accoda. Dubito fortemente che il Presidente degli Stati Uniti - chiunque egli sia - possa davvero tenere sotto controllo questi poteri, che hanno oggi la forza di gestire conflitti su scala semicontinentale. A paragone con le loro operazioni, trame come il classico “I tre giorni del condor” sono giochi da ragazzi.
Se scriviamo questo, ci accuseranno di cospirazionismo.
Che lo facciano; staremo poi a vedere chi riesce a prevedere meglio gli sviluppi. D’altro canto non stiamo inventando nulla: le nostre ipotesi si basano su fatti ampiamente dimostrati, che purtroppo non circolano nell’informazione mainstream perché anche questa, in larga misura, è asservita ai poteri che dovrebbe contrastare (oltre al fatto che i giornalisti mainstream, purtroppo, sono molto poco informati). Il caso eclatante è appunto quello della guerra ucraina, passata sotto silenzio dalla stessa stampa occidentale che negli ultimi sei mesi si è concentrata quasi esclusivamente al medioriente: anche se in medioriente sono morte molte meno delle 20.000 persone morte in Ucraina. Come mai? Chi è il cospirazionista, dunque: chi racconta la verità ucraina, o chi la tace come se niente stesse accadendo? E ancora: il caso dell’abbattimento del Boeing 777 delle linee aeree malaysiane. Ricordiamo tutti l’accaduto: lo scorso 17 luglio viene abbattuto il Boeing. Il giorno dopo gli Stati Uniti lanciano le sanzioni contro la Russia; come un’eco, tutti i giornali e le tv occidentali dicono che il Boeing è stato abbattuto dai russi. Questa informazione (ancorché non verificata) è divenuta la verità per tutto l’Occidente. Adesso, mesi e mesi dopo, sappiamo che le cose non sono andate così, e che la responsabilità dell’abbattimento non è russa, ma ucraina. Domanda: quante persone lo sanno? Eppure è questa la verità documentata e dimostrabile. Chi è il cospirazionista? Chi dice questa verità, o chi per mesi ha propalato la menzogna?
Insomma: al momento gli interessi degli Stati Uniti sono quelli della guerra.
E continueranno ad esserlo. Ormai l’obiettivo principale del mondo interodeve essere impedire agli Stati Uniti di continuare a fare la guerra. Che rischia di diventare il terzo conflitto mondiale, se non si impedisce agli USA di coinvolgere altri Stati (o addirittura l’Europa intera) nelle loro ambizioni geopolitiche. Hanno provato a liquidare Putin e non ci sono riusciti. La Cina, d’altro canto, è ormai la prima potenza mondiale, non è possibile liquidarla su due piedi. Gli USA non si sono ancora rassegnati all’evidenza: oggi fare la voce grossa con gli avversari non basta più. Certo: rimangono i più armati del mondo. Ma non sono più l’impero. In questa fase è compito ineludibile di ogni alleato americano (ma di ogni Paese civile) spiegare all’America che da oggi dovrà accettare un ruolo di parità al tavolo con altre potenze (compresa la Cina, appunto, che per inciso detiene nei suoi forzieri 3 trilioni di dollari in certificati del tesoro americani).
Chi può avere questo ruolo, e questa incisività?
Certamente non i vassalli che hanno accettato l’imposizione delle sanzioni da parte del vicepresidente degli Stati Uniti. Quel Joe Biden che, candidamente, ha potuto dichiarare: «Abbiamo dovuto costringerli, perché gli europei erano recalcitranti». La speranza è che in Italia e in tutta l’Europa la classe dirigente maturi al punto di riuscire a rimanere fuori dalla bellicosità statunitense, in equilibrio con quelli che sono peraltro suoi partner da moltissimi anni (la Russia, per esempio, che per decenni si è dimostrata partner affidabile, non aggressivo e non ricattatorio nella fornitura del gas). E rimanere fuori, in questo momento, significa “uscire”: uscire dalla NATO. L’Italia deve dichiarare che non è più disponibile ad entrare in guerra, noi non abbiamo nemici e vogliamo rimanere neutrali. Uscire da un’Alleanza atlantica che, peraltro, costa al popolo italiano tra i 53 e gli 70 milioni di euro al giorno. Milioni che vengono spesi nello stesso momento in cui non ci sono soldi per rilanciare il lavoro, la sanità, l’istruzione, la ricerca.
Uscire dalla NATO: è tecnicamente possibile? Non c’è da temere la ritorsione degli USA?
Parliamo sempre di “cambiare questo Paese”: e non c’è modo migliore che rinunciare a una forza militare che non serve più a niente (perché in caso di conflitto i nostri 70 milioni di euro verrebbero bruciati nello spazio di un paio di minuti). Utopia? Non credo: l’Austria e la Norvegia, ad esempio, sono europee quanto l’Italia, e non sono nella NATO. Alleanza che non è neanche più quella delle origini - un’organizzazione difensiva - ma una forza militare offensiva che agisce al di fuori dei propri confini. Forse questo è il momento migliore per affermare che, essendo cambiate tante cose, è ora di ridiscutere tutto. Che poi ci sia da temere una ritorsione di quella stessa NSA di cui parlavamo all’inizio - la stessa domanda è rivelatrice di un timore diffuso - questo va da sé: ma non deve impedirci di intraprendere la strada migliore per noi (fermo restando che non dobbiamo per forza “correre da soli”: si potrebbe pensare a un’azione congiunta con la Spagna, ad esempio, o con la Grecia). D’altro canto il timore è giustificato: da moltissimo tempo gli Stati Uniti hanno smesso di essere un partner affidabile e amico, diventando una forza che usa l’Italia (come molte altre nazioni) unicamente per i propri scopi. Non si dovrebbe aver paura degli amici; se è così, vuol dire che l’Italia e gli USA non sono più tanto amici come ancora si vorrebbe far credere. L’Italia si trova attualmente all’interno di un’alleanza in cui il maggior alleato è una minaccia… un simile alleato è meglio perderlo che trovarlo.
(«l'Altrapagina», gennaio 2015; «Il Caffè», 6 febbraio 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano